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Infolampo: Memoria – Università

Giornata della memoria. Il ricordo che protegge le nuove
generazioni
Era il 27 gennaio del 1945 quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono nei campi di
sterminio di Auschwitz e Birkenau. Una data storica che il mondo ricorda ogni anno. Una data per
commemorare tutte le vittime dell’Olocausto.
Tantissime le iniziative sul territorio. Istituzioni, associazioni, scuole. In tanti si mobilitano per celebrare
una giornata che vuole essere innanzitutto un monito per il nostro futuro. Un punto fermo contro nuovi e
vecchi razzismi, nuovi e vecchi fascismi. Contro ogni forma di xenofobia e discriminazione.
Anche il sindacato scende in campo con molte iniziative. La
Cgil ha promosso la campagna #MaipiùFascismi insieme
all’ANPI per chiedere alle istituzioni di tutelare i valori
costituzionali, di condannare e arginare le associazioni e i
raggruppamenti neofascisti. E lo ha fatto in risposta all’atto
vandalico di pochi giorni fa a Milano, dove è stata oltraggiata
la pietra d’inciampo dedicata ad Angelo Fiocchi, operaio
dell’Alfa Romeo deportato per aver organizzato gli scioperi
del 1944. Lo scorso 20 gennaio infatti la Camera del Lavoro
di Milano si era fatta promotrice di questa bella iniziativa:
ricordare Fiocchi perché tutti potessero conservare memoria
di un valoroso operaio antifascista. Dopo pochi giorni la
pietra è stata sfregiata.
Per questo il sindacato ha lanciato l’allarme. “Attenzione: qui
ed ora c’è una minaccia per la democrazia. Si stanno moltiplicando nel nostro Paese sotto varie sigle
organizzazioni neofasciste o neonaziste presenti in modo crescente nella realtà sociale e sul web. Esse
diffondono i virus della violenza, della discriminazione, dell’odio verso chi bollano come diverso, del
razzismo e della xenofobia, a ottant’anni da uno dei provvedimenti più odiosi del fascismo: la
promulgazione delle leggi razziali”. È quanto si legge nell’appello, che si può firmare on line.
Anche il sindacato dei pensionati Cgil ha organizzato sul territorio tantissime iniziative, spesso insieme
alle scuole. Perché la memoria sia una materia viva, fluida, in grado di attraversare più generazioni.
L’obiettivo è quello di sensibilizzare anche i più giovani, e chi per la prima volta si trova a studiare la
storia sui banchi di scuola, ai valori della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.
Lo Spi Cgil nazionale anima la Giornata con un contributo del Progetto Memoria che pubblichiamo in
fondo a questo articolo. Ogni anno lo Spi promuove sul piano nazionale eventi e iniziative insieme alla
Rete degli Studenti Medi e all’Udu. Quest’anno hanno realizzato un manifesto su cui campeggia una
Leggi tutto: http://www.libereta.it/giornata_memoria/

Le Marche fanalino di coda
della ripresa

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www.sbilanciamoci.it
Gratuità dell’istruzione universitaria, perché sì
Una analisi a tutto tondo del perché la gratuità dell’istruzione universitaria è un buon principio. La
gratuità degli studi universitari esiste in numerosi paesi europei ed è stata cavallo di battaglia di svariati
movimenti studenteschi
di Cecilia Navarra, Cristiano Lanzano, Marco Gozzelino
La recente proposta di gratuità dell’istruzione universitaria, fatta da Liberi e Uguali durante l’assemblea
programmatica della settimana scorsa, ha visto un’aggressiva levata di scudi da parte dei diversi
schieramenti politici, Partito Democratico in primis. Già Forges Davanzati ha scritto qui delle ragioni in
favore della proposta. Aggiungiamo alcuni elementi che vanno nella stessa direzione, prima analizzando
le principali critiche, poi portando alcune riflessioni “in positivo” sulla scelta di spostare i costi
dell’università sulla fiscalità generale.
Due sono le critiche che sono già state affrontate in più sedi – a cui rimandiamo: ROARS e Valigia Blu –
mentre qui ci limitiamo a una sintesi. La prima è quella secondo cui “in Italia studiare all’università costa
già poco”. Per quanto la recente istituzione di una no-tax area per gli studenti sotto i 13.000 euro di ISEE
(con criteri più restrittivi dal secondo anno di studi) dovrebbe migliorare la situazione, l’Italia resta un
Paese in cui gli studi universitari costano più della media europea. Questa osservazione è derivata da dati
OCSE che mostrano che, se si considera solo l’istruzione pubblica, in Italia uno studente universitario
paga in media poco meno di 2.000 dollari all’anno: in Europa, solo Spagna, Olanda e Inghilterra
richiedono contributi più alti. Questa situazione ovviamente peggiora se inseriamo anche le università
private, che alzano sostanzialmente la media. Il rapporto Eurydice 2017/18, invece, raggruppa i Paesi
europei sulla base dell’entità delle esenzioni dai contributi e/o delle borse di studio. Ne risulta una
classificazione in quattro gruppi, dei quali il peggiore per gli studenti è quello dove più del 50% di loro
paga i contributi (non beneficia di nessuna esenzione) e meno del 50% riceve borse di studio. L’Italia fa
parte di questo gruppo, dove peraltro rimarrebbe anche secondo le stime più generose dell’effetto
dell’esenzione per i redditi bassi recentemente introdotta.
La seconda critica è quella per cui “l’Italia non ha bisogno di più laureati”. Eppure l’Italia è una Paese in
cui ci sono sensibilmente meno laureati rispetto al gruppo dei Paesi di riferimento: come riportato negli
articoli su ROARS e su Valigia Blu, di nuovo il rapporto OCSE ci dice che nel 2016 la percentuale di
laureati sulla popolazione dei 25-34enni in Italia è il 26%, contro una media OCSE del 43% e una media
europea del 40%. Non solo, la laurea in Italia dipende dalle condizioni di partenza della famiglia dello
studente molto più che altrove: il seguente grafico, sempre di fonte OCSE, mostra la proporzione, in
diverse fasce di età, di laureati tra coloro i cui genitori non hanno un titolo universitario. L’Italia è di
nuovo sotto la media (anche nella fascia più giovane, dei 30-40enni, questa percentuale è sotto il 15%),
mostrando una più elevata dipendenza dell’istruzione universitaria dei figli dall’istruzione universitaria
dei genitori.
Ma affrontiamo anche la domanda da un altro punto di vista: ai futuri lavoratori italiani serve la laurea?
Un primo piano della discussione è quello giustamente posto da Forges Davanzati su questo sito: sì, serve
indipendentemente da “quello che chiede il mercato del lavoro”, perché la formazione universitaria serve
in sé e non deve (al contrario di quanto fatto e proposto negli ultimi decenni) seguire le esigenze di breve
periodo delle imprese. Una seconda possibile risposta è nuovamente positiva, se guardiamo il risultato dei
laureati sul mercato del lavoro: i laureati in Italia durante la crisi hanno, sì, visto aumentare il proprio
tasso di disoccupazione, ma meno dei non laureati: insomma, la laurea a qualcosa serve ancora.
Però sappiamo anche che dall’Italia lavoratori qualificati emigrano perché altrove trovano condizioni
materiali e di riconoscimento migliori: in Italia, buona parte della forza lavoro, anche se qualificata, si
trova intrappolata in forme di sotto-occupazione, in lavori che non corrispondono al livello degli studi
effettuati, in mezzo a un’elevata competizione sul mercato del lavoro, in cui la formazione diventa un
mero strumento “not to climb down the ladder” (per non scivolare giù nella scala occupazionale, efficace
espressione utilizzata da Allen e Ainley, autori di “Lost Generation?”, libro del 2010 che affrontava
proprio la questione di istruzione e disoccupazione giovanile). Dietro questo mix di disoccupazione e
sotto-occupazione c’è un complesso di fattori, tra cui le politiche del lavoro volte esclusivamente ad
abbassarne i costi e le tutele, e l’assenza di una politica industriale che abbia stimolato investimenti e
innovazione (per i dati sull’innovazione, ad esempio, si veda qui sotto la spesa pubblica e privata per
ricerca e sviluppo dell’Italia rispetto alla media OCSE).
Qui la questione di politica economica è rilevante. Abbiamo due possibili direzioni: abbassare il livello di
Leggi tutti: http://sbilanciamoci.info/gratuita-dellistruzione-universitaria-perche-si/