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Infolampo: mamme, islanda

Mamme al lavoro? Un vero disastro
Numeri e storie ci parlano di discriminazione ma soprattutto di strutture pubbliche inadeguate, assenti o
troppo costose, di un welfare che non c’è. Serve un profondo cambio di passo sui diritti delle lavoratrici
(e delle famiglie), e non spot elettorali
di Silvia Garambois
Ha fatto clamore, lo scorso ottobre, la protesta di una decina di mamme dipendenti dell’outlet di
Valmontone, vicino a Roma, che chiedevano una domenica libera al mese per stare in famiglia: a

protestare con loro i mariti e i nonni-baby sitter. Quel giorno la portavoce della protesta era stata una ex-
dipendente – l’unica che poteva parlare senza rischiare più il posto – una lavoratrice che aveva dovuto

scegliere di licenziarsi perché non aveva trovato modo di conciliare lavoro e maternità.
Qualche mese prima a Grassobbio una donna rientrata dalla maternità era stata licenziata per
“soppressione del posto di lavoro”: un licenziamento rientrato grazie solo alla solidarietà e allo sciopero
dei suoi 230 colleghi.
E poi l’infermiera di Cene, vicino a Bergamo, madre di tre figli e costretta a dimettersi perché il Comune
non le ha concesso il part time.
O ancora le dipendenti di un’azienda di pulizie
all’ospedale di Magenta, costrette a turni che impedivano
anche solo di portare i figli al nido o all’asilo, che si sono
presentate al lavoro con i bambini in braccio…
Sono solo alcune delle tante storie che negli ultimi mesi
sono finite “agli onori della cronaca”, o sarebbe più
opportuno dire al disonore di questo Paese che tanto
lamenta la scarsa natalità e poi penalizza – fino al
licenziamento o alle dimissioni – le mamme lavoratrici. E,
stando ai numeri dell’Ispettorato del lavoro (che
considera solo le dipendenti regolari, non tutte le mamme
che hanno invece contratti “flessibili”, collaborazioni,
partite Iva, contratti a termine a scadenza e non
rinnovati…) ci sono state solo nel 2016 ben 24mila 618
storie così: mamme che hanno lasciato il lavoro con
dimissioni, dichiarando come motivazione l’impossibilità
di conciliare lavoro e maternità. Un disastro per
qualunque Paese civile.
Il sindacato è da tempo che denuncia una impennata nelle dimissioni per maternità, e già lo scorso agosto,
in questo stesso spazio, avevamo anticipato i dati dell’Ispettorato del Lavoro sul boom di dimissioni resi
pubblici in questi giorni: ma è un’emergenza – se di emergenza si può ancora parlare, essendo ormai un
fenomeno strutturale – su cui non si può abbassare la guardia, visto che le politiche messe in campo fin
Leggi tutto: http://www.radioarticolo1.it/articoli/2018/01/11/8224/mamme-al-lavoro-un-vero-disastro
Acquasanta Terme, inaugurata
l’aula polifunzionale realizzata
dai sindacati

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Islanda, l’isola dei diritti (e del potere) alle donne
Primo al mondo per parità di genere sul lavoro, lo Stato nordico è guidato dalla giovane Jakobsdottir.
Che in precedenza era stata ministro di una premier lesbica. Analisi dell’ascesa del gentil sesso.
di Barbara Ciolli
Dal 2018 l’Islanda è il primo Paese al mondo con la parità di stipendio tra uomini e donne. L’obbligo di
«certificato di eguaglianza salariale», in vigore dall’inizio del nuovo anno secondo la legge approvata dal
parlamento nel 2017, per tutte le imprese private e pubbliche con più di 25 dipendenti impone – pena
sanzioni – la stessa retribuzione per chi svolge lo stesso lavoro in un’azienda. Donne e uomini e non solo:
anche impiegati di religione o etnia diverse, orientamento sessuale, età o eventuale handicap. Perché le
discriminazioni, nel mondo del lavoro come ovunque, non sono unicamente di genere.
TUTTI CON LE DONNE. La conquista nell’isola dei ghiacci da anni prima nella classifica (l’Italia è
82esima) del Forum economico mondiale per livello di parità di genere ha fatto il giro del mondo a
distanza di poco più di un mese dal varo, il 30 novembre 2017, del governo guidato dalla ambientalista di
sinistra Katrin Jakobsdottir, poco più che 40enne. A onor del vero, la paternità della legge pionieristica è
del precedente esecutivo dell’ex premier di centrodestra Bjarni Benediktsson, a conferma di quanto
l’Islanda sia una democrazia evoluta sul tema dei diritti. Ma la coalizione ad ampio spettro tra i Verdi, lo
stesso partito di Benediktsson e il Movimento agrario promette altri passi in avanti.
L’impegno è allargare entro il 2020 la parità retributiva imposta alle grandi e medie imprese anche alle
piccole aziende. Rientrato nel governo come ministro dell’Economia, anche Benediktsson resta fedele alla
linea di Jakobsdottir, che non è la prima donna primo ministro del Paese: dal 2009 al 2013 la
socialdemocratica Johanna Sigurdardottir, già ministro agli Affari sociali e deputata dal 1978, aveva
ricoperto lo stesso incarico, traghettando l’Islanda fuori dai crac bancari. Una nomina storica per l’Althing,
il piccolo parlamento di Reykjavik, perché l’allora leader 60enne Sigurdardottir era lesbica dichiarata,
oltre che donna.
NEL NOME DELLA STABILITÀ. Quasi 10 anni dopo la sua Alleanza socialdemocratica è rimasta
all’opposizione anche con l’ultimo voto: risalita al 12% dal collasso del 5,7%, i suoi seggi non erano
sufficienti per governare con i Verdi. E le altre forze (populiste, centriste e della destra liberale,
conservatrice ed estrema) non volevano allearsi con un esecutivo a larga maggioranza di sinistra. Così,
nel nome della stabilità inseguita dopo una serie di voti anticipati, il calcolo politico ha dato forma allo
strano governo Jakobsdottir: guidato dalla leader si sinsitra radicale dei Verdi con il 17% alle Legislative
del 28 ottobre scorso, ma con la maggioranza di membri del partito dell’Indipendenza di destra, prima
forza al 25%.
“L’Islanda fu anche la prima repubblica democratica al mondo, nel 1980, con un capo di Stato donna. In
carica fino al 1996”
Al partito dell’ex premier Benediktsson è andato il più alto numero di ministeri. Retta dalla stampella del
Partito progressista degli agrari (di centrodestra) al 11% l’ambientalista Jakobsdottir ha le mani legate
anche dagli altri tre dicasteri andati ai conservatori. Ma nonostante i vincoli la sua figura resta di
rinnovamento: già ministro dell’Istruzione dal 2009 al 2013, nell’esecutivo della prima premier donna, la
neopremier è deputata dal 2007 e presiede della Sinistra dei Verdi dal 2013. Soprattutto Jakobsdottir,
laureata in Lettere, piace agli islandesi perché fuori da tutti gli scandali (finanziari, sessuali, politici)
esplosi a catena nell’isola di poco meno di 340 mila abitanti.
FEMMINISMO DI MASSA. In compenso con la legge sulla parità salariale la remota Reykjavik ha dato
una lezione al mondo. In media tra uomini e donne esiste uno scarto di circa il 16% negli stipendi: gli
Stati più emancipati, a parte l’Islanda, non fanno eccezione. L’Islanda è stata anche la prima repubblica
democratica al mondo, nel 1980, con un capo di Stato donna: la madre single divorziata, allora 50enne,
Vigdis Finnbogadottir. In carica fino al 1996 per quattro mandati consecutivi, Finnbogadottir è
ambasciatrice dell’Unesco. Prima di rivestire la massima carica istituzionale, non era iscritta a partiti ma è
stata votata dal movimento femminista islandese di massa.
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