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Infolampo: Pensioni – Sib

In pensione a 64 anni. Una buona notizia

Lavoratori e lavoratrici del settore privato, leva ’52, ottengono un chiarimento definitivo dall’Inps: potranno valorizzare tutta la contribuzione volontaria, figurativa e di riscatto, extralavorativa. Piccinini (Inca): “Ce l’abbiamo fatta”

di Lisa Bartoli, Esperienze 15 dicembre 2017

I lavoratori del settore privato che vogliano anticipare la pensione a 64 anni, in virtù della norma “eccezionale” per i nati nel 1952 (articolo 24, comma 15 bis della legge n. 214/11), potranno valorizzare tutta la contribuzione volontaria, figurativa e di riscatto, extralavorativa per il raggiungimento dei requisiti richiesti. Il chiarimento, potremmo dire definitivo, è contenuto nella circolare di Inps n. 180 del 7 dicembre scorso che, accogliendo gli ultimi indirizzi del ministero del Lavoro, interrompe anche il lungo braccio di ferro tra l’Istituto previdenziale e il Patronato della Cgil. “Possiamo dire che ce l’abbiamo fatta – commenta Morena Piccinini, presidente di Inca -. Ora, questi lavoratori, perlopiù donne, potranno effettivamente esercitare il loro diritto, da troppo tempo negato a causa di interpretazioni restrittive e ingiuste che da anni abbiamo denunciato. Il merito è senz’altro da attribuire anche all’impegno di parlamentari, come Maria Luisa Gnecchi, che si sono fatti interpreti di una domanda di tutela crescente soprattutto tra quelle lavoratrici, particolarmente penalizzate dall’innalzamento brusco dei requisiti di pensionamento”.

La vicenda ha radici lontane. Nelle intenzioni del legislatore, il comma 15 bis doveva servire ai nati nel 1952, in via del tutto “eccezionale” (in deroga alla legge Monti-Fornero) di anticipare il pensionamento a 64 anni, in ragione della pesante penalizzazione, cui sarebbero andati incontro a causa del brusco innalzamento dell’età pensionabile; in virtù di questa norma, potevano andare in pensione al raggiungimento di requisiti anagrafici e contributivi più favorevoli da maturare entro il 31 dicembre 2012: vale a dire a 60 anni con “quota 96” e almeno 35 anni di contributi da dipendente, oppure con 20 anni di contribuzione.

Ma già dai primi messaggi, pareva chiaro l’intento restrittivo di Inps che, in modo del tutto arbitrario, avrebbe voluto limitare questa opportunità solo a coloro che risultassero occupati al 28 dicembre 2011 applicando, peraltro, sui requisiti richiesti, per concessione della deroga, l’adeguamento alla speranza di vita. Una interpretazione restrittiva del tutto ingiustificata – spiega Piccinini – in contrasto con le

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Social Impact Bond e finanziarizzazione dei programmi sociali

In questo scritto si analizzano brevemente i principi di funzionamento dei Social Investment Bond, si prendono in considerazione gli effetti che essi provocano nei contesti in cui sono stati già adottati e si accenna ai rischi potenziali di finanziarizzazione del welfare nella prospettiva, nient’affatto remota, che tali strumenti siano adottati anche nel nostro paese.

di Luca Salmieri

Le politiche di austerity seguite alla crisi finanziaria ed economica di quest’ultimo decennio, le riduzioni e le ‘efficientizzazioni’ della spesa pubblica e le trasformazioni dei sistemi di welfare occidentali in termini di disinvestimento pubblico hanno favorito un’accresciuta attenzione nei confronti delle possibili alternative offerte dalla finanziarizzazione delle politiche sociali, dallo sviluppo di nuovi strumenti di intervento nel terzo settore e dal crescente protagonismo di compagini for profit nell’ambito degli interventi con finalità pubbliche. In questo clima di crescenti aspettative nei confronti del terzo settore e delle imprese private, identificate come terminali di esternalizzazioni efficaci e di successo, in quanto ritenute più innovative e flessibili dello loro controparti nel settore pubblico, stanno acquisendo un ruolo particolarmente catartico i Social Impact Bond (SIB), nuovi strumenti finanziari di cui da più parti vengono lodati i potenziali effetti benefici in termini di efficienza, trasparenza e incisività.

I Social Impact Bond, in italiano ‘fondi di investimento ad impatto sociale’, costituiscono un tipo di finanziamento di interventi a carattere sociale – o per appunto di impatto sociale – attraverso cui entità private forniscono il capitale iniziale per l’avvio e lo sviluppo di interventi o di vere e proprie politiche sociali di natura preventiva, dietro la garanzia, da parte di uno o più enti pubblici, di elargire, come remunerazione sul capitale investito, parte dei risparmi generati per le casse pubbliche dall’efficacia dei progetti stessi. Ad esempio, un Social Bond che finanzia progetti contro la dispersione scolastica in una determinata area territoriale remunererà l’entità finanziaria che li ha sostenuti se nel corso di un determinato periodo di tempo tali progetti avranno contribuito a far diminuire il tasso di abbandono scolastico, consentendo un risparmio della spesa pubblica precedentemente destinata a tale problema: la remunerazione per l’ente finanziario sarà determinata da un valore economico prestabilito quale premio per aver raggiunto i risultati attesi. IL SIB, malgrado il nome, non è un bond di per sé, ma uno strumento finanziario che assomiglia molto di più all’equity: in caso di fallimento del SIB, ovvero nel caso in cui il risultato ‘sociale’ prefissato non venga raggiunto, gli investitori non saranno remunerati dell’interesse e perderanno anche il capitale investito.

I SIB attivi nel mondo non sono ancora così numerosi: a fine 2016 risultavano attivi appena una cinquantina di SIB in tutto il globo, in particolare nei paesi anglosassoni, con rari esempi nell’’Europa continentale. Se ne contavano circa 20 nel Regno Unito, una decina negli Stati Uniti, qualche paio in Australia, Belgio, Canada, Germania e Paesi Bassi. Oltre ad alcune sperimentazioni che riguardano i finanziamenti per lo sviluppo nei paesi del Terzo Mondo, si ravvisa tuttavia una forte pressione a più voci (banche, organismi internazionali, investitori finanziari, imprese sociali, esperti) affinché i governi nazionali occidentali adottino normative che regolamentino e promuovano l’adozione di SIB nei vari settori di welfare, nella convinzione che sperimentazione ed estensione delle ‘buone pratiche’ possano sensibilmente rafforzare una riforma organizzativa e operativa dei sistemi di welfare in tempi di austerity pubblica. Se in Italia manca ancora una normativa ad hoc e le poche sperimentazioni non riguardano veri e propri SIB, ma forme ibride più vicine alla valutazione degli impatti sociali di programmi finanziati dal filantropismo dei privati, fondazioni e organizzazioni varie puntano a sviluppare anche nel nostro paese questo meccanismo di finanziamento. Inoltre, l’Italia partecipa alla Task Force internazionale sugli investimenti a impatto sociale con un proprio National Advisory Board e con numerosi rappresentanti afferenti a fondazioni e banche, tra cui Banca Prossima che non è nuova a iniziative di finanziamento del terzo settore. Infine, va sottolineato che esiste una crescente pressione internazionale affinché si passi il prima possibile dalle forme embrionali di sperimentazione alla strutturazione estesa dei SIB.

Un futuro con lo Stato come intermediario e valutatore dei servizi di welfare? Come opera effettivamente un SIB? Le esperienze già realizzate in altri paesi consentono di abbozzare un modello tipo. La base di partenza è un accordo-contratto tra i vari portatori di interessi – il Governo (o amministrazione pubblica, locale o settoriale), il fornitore del servizio e gli investitori. Un’organizzazione di intermediazione

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