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Infolampo: Ape, bilancio

Ape sociale, la lotteria non si ferma
Denuncia l’Inca: procede molto a rilento il riesame delle domande respinte. E nessun assegno è partito.
Sulle ragioni dei ritardi, su quali ostacoli permangano, su come stia procedendo l’Inps regna sovrana
l’incertezza e l’assenza di trasparenza
di Lisa Bartoli
Manca una manciata di giorni all’ultima scadenza del 30 novembre per l’invio delle domande di indennità
Ape sociale, mentre procede a rilento il riesame di quelle respinte, già presentate entro 15 luglio (circa 46
mila su un totale di oltre 65 mila). “Non sappiamo di chi sia la
responsabilità – commenta amaramente Morena Piccinini,
presidente Inca -, né ci interessa individuare un colpevole; ma
resta il fatto che di tempo ce ne davvero poco e sarebbe
auspicabile che gli Enti coinvolti usassero un po’ di buon
senso per rendere effettivamente fruibile uno strumento tanto
atteso, che riguarda 4 categorie di lavoratori, particolarmente
svantaggiati, quali sono i disoccupati, i disabili, gli addetti ad
attività gravose e i lavoratori precoci”.
Dopo la pubblicazione del dossier Inca e la risonanza
mediatica che ne è derivata, nonché i nuovi indirizzi
interpretativi ministeriali, a cui è seguito un incontro tecnico
il 31 ottobre scorso tra Patronati e Inps per risolvere le
problematiche aperte, ancora restano pressoché intatte le
incertezze su quale sarà realmente l’impatto sociale ed
economico dell’indennità Ape sociale.
Il dito è puntato contro i ritardi con cui si sta procedendo a
riesaminare le richieste respinte alla luce dei nuovi indirizzi interpretativi, forniti dal Ministero del
Lavoro.
Al momento, l’unica certezza è che saranno accolte le istanze di coloro che hanno lavorato con voucher
dopo la fruizione dell’ammortizzatore sociale, mentre nulla si sa delle 12 mila richieste respinte dei
lavoratori, addetti ad attività gravose, il cui elenco è stato inviato al Ministero del Lavoro per una ulteriore
verifica da effettuarsi insieme a Inail e Anpal, con l’impegno a ripescarne un numero congruo, vista la
disponibilità delle risorse stanziate e rimaste inutilizzate.
“Non sappiamo se ciò sia stato fatto, né quali siano gli ostacoli – spiega Piccinini -. Per ora, resta solo la
promessa di Inps di riesaminare d’ufficio solo quelle che dovessero passare positivamente il vaglio degli
Enti coinvolti”. Altrettanto problematico resta il destino delle domande respinte di coloro che, per il
raggiungimento del requisito dell’anzianità contributiva (30 o 36 anni, a seconda della categoria di
appartenenza), abbiano fatto valere versamenti esteri. Sulla questione, in un primo momento, l’Inps aveva
Leggi tutto: http://www.radioarticolo1.it/articoli/2017/11/22/8192/ape-sociale-la-lotteria-non-si-ferma
Violenza di genere, il governo si
impegni a sconfiggerla

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Legge di bilancio, la manovra del ‘vorrei ma non posso’
La manovra del “vorrei ma non posso”. È questa l’impressione che si ha leggendo la Legge di Bilancio
2018 trasmessa lo scorso 31 ottobre al Parlamento, in notevole ritardo rispetto alla scadenza del 20
ottobre prevista dalla normativa. Un ritardo che evidenzia la difficoltà nel chiudere i conti, ma anche
l’ulteriore riduzione di spazio di dibattito per un Parlamento che ha sempre meno voce in capitolo sui
conti dello Stato.
di Andrea Baranes
La sostanza della Legge di Bilancio viene discussa e decisa altrove e in primo luogo viene pesantemente
ingabbiata nei limiti e vincoli degli accordi europei siglati dal nostro Paese. In questo senso, se
l’approvazione finale della manovra in Parlamento è ormai un atto poco più che formale, entro fine anno
lo stesso Parlamento dovrà decidere se ratificare il Fiscal Compact, trattato che ci obbligherebbe a
riportare entro venti anni il rapporto debito/Pil al 60%.
Come dire che, indipendentemente dai Governi in carica, ci vincoliamo a venti anni di alta imposizione
fiscale, tagli alla spesa e rinuncia a qualsiasi seria politica pubblica di investimento nel nome di un
parametro economico deciso oltre due decenni fa. Quella del 2018 è l’ennesima manovra figlia di questa
visione e dell’austerità, di politiche economiche sbagliate che non hanno fatto altro che aggravare e
allungare la crisi e aumentare ulteriormente le diseguaglianze.
Ancora una volta gran parte delle risorse disponibili devono andare alla sterilizzazione delle clausole che
provocherebbero un aumento dell’Iva. Un impegno estremamente gravoso quanto necessario, per diversi
motivi. Primo, vista la quantità di risorse già impegnate negli scorsi anni, sarebbe una follia e una pesante
sconfitta non riuscire a scongiurarne l’aumento. Secondo, parliamo di un’imposta estremamente
regressiva: colpisce i consumi e viene pagata da tutti nella stessa misura, pesando quindi in proporzione
molto più sui poveri che sui ricchi. Terzo, un aumento dell’Iva porterebbe a deprimere una già fragile
domanda interna.
Fermo restando che è dunque necessario scongiurare l’aumento dell’Iva, come provocazione verrebbe da
domandarsi se sia almeno stata fatta una stima del costo complessivo e dell’impatto sui conti pubblici
delle misure prese in questi anni a tale scopo. Se l’aumento dell’Iva avrebbe impatti pesantissimi, in
particolare sui più deboli, quanto hanno pesato e pesano decine di miliardi che non si sono potuti
impiegare in investimenti, ricerca e sviluppo, misure di contrasto alla povertà o in altri utilizzi? Quanto
pesa l’impossibilità di mettere in campo politiche pubbliche di sviluppo, dal momento che circa tre quarti
della manovra sono bloccati per queste clausole?
Se questo è il quadro entro cui si muove il Governo, le (poche) risorse rimanenti avrebbero potuto essere
utilizzate in maniera radicalmente differente. Bisogna riconoscere che c’è un impegno positivo in alcuni
ambiti, come per l’aumento dei fondi per la lotta alla povertà o l’inclusione. Le risorse non sono poche,
ma restano fortemente insufficienti rispetto alla platea dei beneficiari, ovvero a chi si trova in situazione
di povertà assoluta. Leggendo gli impegni scritti nella Legge di Bilancio 2018 per gli anni successivi,
emerge comunque l’intenzione di incrementare le risorse in futuro, procedendo per gradi.
Ma è proprio questo il “vorrei ma non posso” della manovra. Gli impegni di spesa che avrebbero le
maggiori ricadute sono spostati dal 2019 in poi. A volere concedere il beneficio del dubbio si può
ipotizzare una visione e un impegno di lungo periodo: vengono messi in moto dei meccanismi, poi a
mano a mano che le cose vengono implementate si guardano i risultati e si rafforzano gli impegni. Tutto
giusto e condivisibile, se non fosse per un particolare: tra pochi mesi si vota, e nessuno ha la sfera di
cristallo per sapere quale sarà il prossimo Governo e se tali impegni verranno confermati.
Ci si domanda che senso abbia, per l’ultima manovra della legislatura, prevedere impegni minimi per il
2018 e cifre anche cinque o sei volte maggiori negli anni successivi, sui quali ovviamente l’attuale
Governo non ha possibilità di decidere. Solo un esempio, tra i molti – troppi – che si trovano nella
manovra: per “l’assunzione di nuovi ricercatori nelle università e negli Enti pubblici di ricerca” (art. 56)
sono previsti 12 milioni di euro nel 2018, ma 76,5 dal 2019.
Siamo felici di vedere questo aumento, peccato che a confermare se farlo o meno dovrà essere il Governo
che scriverà la Legge di Bilancio del 2019, ovvero quello che si insedierà con le prossime elezioni. La
vetta si tocca forse per quanto riguarda gli “impegni per la mobilità sostenibile” (art. 10). Ben 100 milioni
all’anno! Una cifra davvero notevole e che potrebbe fare la differenza se impiegata bene, tanto per la
creazione di posti di lavoro ad alta qualificazione, quanto in termini di politiche industriali e per
l’ambiente. C’è solo un piccolissimo particolare: i 100 milioni l’anno sono previsti dal 2019 al 2033. Per
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