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catastrofi-naturali-627La forza delle donne di fronte a terremoti e calamità
naturali
Nel campo della ricostruzione e della messa in sicurezza pesa la scarsa presenza femminile, che
aiuterebbe la conservazione, la tutela, la protezione del paesaggio e delle comunità. La verità è che il
profitto privato se ne infischia delle vite umane
di Agnese Palma
In Italia, a ogni terremoto o calamità, si sentono le stesse giaculatorie, le stesse promesse condite con
molta ipocrisia da parte di chi ha avuto e ha il potere di fare qualcosa, ma ha fatto poco e male. Dopo ogni
catastrofe naturale, siamo abituati a passare in poco tempo dal pianto dettato dall’emotività al fatalismo e
alla rassegnazione. Ma i tempi non sono più quelli in cui ci si può nascondere dalle responsabilità,
maledicendo la natura matrigna; la natura è la natura, né buona, né cattiva, e ormai da tempo abbiamo le
conoscenze per prevenire e impedire innanzitutto la perdita di vite umane, ma anche la distruzione di
attività economiche e sociali nei territori colpiti. Le esperienza vissute anche di recente ci hanno mostrato
per fortuna dell’altro: persone, intere popolazioni, che si rimboccano le maniche e lavorano molto, un
lavoro spesso svolto nel silenzio e nell’invisibilità.
Su una particolare invisibilità ed esclusione vorrei qui soffermarmi: quella del contributo delle donne
nell’ambito della comunità scientifica, con uno specifico riferimento, parlando di terremoti, a quelle
impegnate nelle scienze della terra, giunte alla ribalta della cronaca durante le catastrofi naturali e troppo
presto dimenticate. In un’indagine del 2015 della commissione Pari opportunità del Consiglio nazionale
geologi si affermava che “la percentuale di donne appartenenti alla categoria professionale è pari solo al
21%. Di questo 21%, ben il 54% dei geologi donna ha dichiarato di aver subito discriminazioni sul posto
di lavoro, mentre il 92% ha percepito delle diseguaglianze di genere”.
Per non parlare dei cantieri di costruzione, dove raramente vedrete la geologa, sebbene le donne
professioniste dimostrino molto rigore e competenza. Nelle piattaforme petrolifere, geologhe o ingegnere
sono tuttora pochissime. Persino negli avanzati Usa la situazione non è rosea, i dipartimenti di geologia
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Come battere il partito del risentimento
Perché un capo politico di un partito che vuole andare al governo fa una dichiarazione durissima contro
i sindacati – o vi riformate o ci penseremo noi a mettervi in riga quando andremo al governo – sapendo
che susciterà polemiche e reazioni critiche? Lo fa perché è convinto di intercettare un risentimento
diffuso contro i sindacati, e di riuscire in questo modo a convogliare voti verso il suo partito. Mette in
questo modo in azione, su un punto specifico e assai delicato, la strategia del movimento, che è fondata
sul principio del risentimento. Il quale, in quanto tale, non né di destra né sinistra.
di Michele Ciliberto
L’Italia è oggi, in larga parte, un Paese di risentiti: contro lo stato, contro i partiti, contro il sindacato,
contro l’Università come si vede dalle polemiche di questi giorni. In breve, contro qualunque istituzione,
a cominciare naturalmente dal Parlamento e dalla classe politica, visti come il principio di tutti i mali,
l’ostacolo da abbattere se si vuole “purificare” la Nazione.
Questo risentimento – nel quale confluiscono sia pulsioni di tipo politico che attese escatologiche – è il
terreno di coltura dei 5 stelle, è l’asse della loro strategia. E funziona perché in Italia oggi niente è così
profondo e diffuso come il risentimento, che continuerà a crescere in maniera impetuosa – individuando
volta per volta nuovi obiettivi – se non ci sarà una forza politica capace di trasformarlo in energia
positiva, in un principio di speranza, senza il quale le società decadono e finiscono.
Ma è un lavoro difficile e non avrà successo se si punterà, come a volte si è fatto, sul fallimento dei 5
stelle nel governo delle città. Questo non ha comportato e non comporterà la fine del consenso che è
cresciuto in questi anni intorno a loro. Lo abbiamo visto a Roma: i continui fallimenti della sindaca
attuale non hanno generato una crisi significativa di consenso nel movimento.
Per un motivo semplice: il risentimento è una passione, un istinto, e il rapporto degli elettori e dei
seguaci dei 5 stelle è basato sulla fides, non sulla ratio. E funziona perché la politica è fatta, certo, di
progetti razionali, ma è anche sostanziata di fides: come si diceva una volta, ottiene più risultati uno
stregone in cui si ha fiducia che un medico bravo.
E questo accade “a prescindere” direbbe Totò, perché attiene alle strutture profonde degli uomini, ai loro
istinti originari. I programmi non contano, cambiano a seconda dalla situazione: anzi tanto più sono
flessibili tanto più portano voti – a destra e a sinistra. Conta la fides. Nonostante ogni fallimento, i seguaci
dei 5 stelle continueranno ad avere fiducia nei loro capi. A meno che non venga offerta loro un’alternativa
politica credibile, capace di entrare in sintonia profonda con il risentimento e spingendo gli elettori verso
il campo della ratio.
Se si dicesse però solo questo si rischierebbe di trascurare il motivo di fondo che spiega il successo dei 5
stelle in questi anni.
Il risentimento nasce da una frustrazione, dal sentirsi estranei, fuori dalle sedi in cui si decide. Nasce
appunto dal sentirsi fuori da tutto, e dal rancore che questo produce. Il risentimento, come l’invidia, è una
triste passione tipicamente democratica. Ed infatti è stato ulteriormente accentuato dalla crisi della
democrazia rappresentativa che ha generato in Italia l’avvento del berlusconismo. Il risentimento, e il
successo dei 5 stelle che ne è conseguito, sono il frutto diretto di questa lunga storia, che inizia, a volerla
periodizzare, negli anni Settanta.
Ma i 5 Stelle hanno avuto successo perché sono riusciti a risolvere in positivo questa frustrazione con la
“scoperta” della democrazia diretta, rilanciandola attraverso la Rete. Non sono stati gli unici in Europa,
ma da noi hanno avuto successo perché il berlusconismo aveva già assestato colpi distruttivi alla
democrazia rappresentativa e alle tradizionali politiche di massa.
È questa crisi – un fatto enorme sul quale ancora non si riflette a sufficienza – la radice storica del
successo dei 5 stelle. Gli errori dei capi non contano, le ambiguità della linea politica non hanno effetti
reali; ciò che conta è partecipare, decidere, contare; e più i partiti tradizionali si sono chiusi in se stessi,
più i 5stelle si sono rafforzati, presentandosi come l’unica forza in grado di garantire ricambio politico ed
apertura a nuove classi dirigenti, soprattutto quelle che erano state sempre ai margini.
Se questo è vero, le forze interessate al cambiamento del paese hanno in primo luogo il compito di capire
questo risentimento, le sue ragioni materiali, dando ad esso risposte positive sul piano sociale e politico
ma anche culturale, e avviando soprattutto un ricambio profondo delle classi dirigenti. Ma per farcela
dovrebbero spiegare anche che la democrazia diretta genera solamente il potere dei capi, le decisioni di
una élite ristrettissima e nuove oligarchie come si è visto con l’intronizzazione del nuovo capo del
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