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Infolampo: Pensioni – smartworking

infografica_requisiti_pensionePensioni, Camusso: «Non ci siamo, ancora nulla sulle
risorse»
Cgil insoddisfatta al termine dell’incontro al ministero del Lavoro. Per il segretario generale della
Confederazione, il blocco della crescita dell’età pensionabile legata all’aspettativa di vita è dirimente.
Nuovo round 13 settembre
“Siamo ancora in un quadro di incertezza, abbiamo chiesto di esplicitare le risorse” da destinare al
capitolo pensioni “ma non ci sono state dette. Non siamo quindi in grado di valutare la dimensioni degli
interventi”. Questo il commento a caldo del segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso, al termine del
tavolo sulle pensioni che si è svolto giovedì 7 settembre
al ministero del Lavoro. Critica la Cgil anche sul blocco
della crescita dell’età pensionabile legata all’aspettativa di
vita: “Per noi – ha ribadito il segretario generale – è
dirimente per valutare tutto il lavoro ai tavoli con il
governo”.
“Abbiamo detto – ha sottolineato la sindacalista – anche
negli incontri precedenti che per noi quello è un punto
fondamentale, anche in coerenza con le cose che con il
governo abbiamo scritto l’anno scorso, perché nella fase
due era previsto di discutere come intervenire. Quindi è
chiaro che quello è il tema che più interessa i lavoratori e
le lavoratrici su cui stanno aspettando una risposta”.
Nel corso dell’incontro, Poletti ha proposto, per le donne
con figli, l’ipotesi di abbassare fino al massimo di due
anni i requisiti contributivi per l’Ape sociale, in modo da
far crescere del 40 per cento le domande, ancora molto al di sotto (un terzo) di quelle presentate dagli
uomini. Anche in questo caso scettica la Cgil. Per Camusso ciò “non significa occuparsi di lavoro di cura,
servono norme a carattere universale”.
Il governo, secondo quanto detto dal ministro Poletti, avrebbe confermato l’impegno a tornare al sistema
della rivalutazione degli assegni pensionistici precedente al blocco dell’indicizzazione. Entrerebbe in
vigore dal 2019. Una commissione che vedrà coinvolti il ministero, i sindacati e gli istituti come l’Istat
dovrà elaborare un’analisi condivisa per verificare la composizione del paniere. Governo e sindacati
dovrebbero incontrarsi di nuovo il 13 settembre.
Il segretario generale dello Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil, Ivan Pedretti ha espresso il suo
giudizio sull’incontro di ieri con il governo utilizzando il suo profilo Facebook. “Sulla rivalutazione
abbiamo acquisito l’impegno a definire un nuovo meccanismo, migliore di quello attualmente in vigore e
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Lavoro precario, il primato delle
Marche: solo un’assunzione su 10
è a tempo indeterminato

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Tutti i rischi dello smart working
Nuove tecnologie e organizzazione del lavoro, lo smart working è davvero la nuova frontiera della
conciliazione? Tutti i rischi sulle carriere e sui diritti di chi ne usufruirà di più, le donne
di Carla Spinelli
Il tema della conciliazione vita-lavoro è stato tradizionalmente affrontato nella prospettiva del sostegno
all’equilibrio di genere nel lavoro di cura e, quindi, come uno strumento per promuovere la partecipazione
delle donne al mercato del lavoro.
In tempi più recenti, tuttavia, il cosiddetto work-life balance è stato progressivamente concepito anche
come strumento per favorire il benessere sul luogo di lavoro e, quindi, come un fattore e un indicatore del
“lavoro sostenibile”, e cioè di un sistema di organizzazione e gestione del lavoro che sia efficiente e
ottenga risultati economici e produttivi, e, allo stesso tempo, promuova e tuteli lo sviluppo delle capacità,
delle competenze e dell’individualità del lavoratore, consentendo altresì un adattamento dinamico delle
condizioni di lavoro alle esigenze di quest’ultimo nell’arco di tutta la vita lavorativa.
Tra questi modelli organizzativi si annovera lo smart working, comunemente definito come la possibilità
di svolgere il lavoro ovunque e in qualsiasi momento (anywhere and at anytime), utilizzando nuove
tecnologie di informazione e di comunicazione, in particolare i dispositivi mobili (smartphone, tablet,
laptop, ecc).
Secondo uno studio della Commissione europea del 2010, la mobilità e l’uso di tecnologia portatile sono

le caratteristiche fondamentali di questo tipo di lavoro. Gli smartworkers, altrimenti detti e-workers o e-
nomads, i lavoratori da remoto insomma, sono identificati come quei lavoratori che, avvalendosi di una

connessione a Internet, lavorano almeno dieci ore alla settimana in posti diversi dall’ufficio e dalla
propria abitazione.
La de-materializzazione del luogo di lavoro e la flessibilizzazione dei tempi di lavoro, che caratterizzano
questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, sono rappresentati quali strategie
organizzativo-gestionali idonee a soddisfare per un verso le esigenze dei datori di lavoro di ridurre i costi
e incrementare la produttività e per l’altro le esigenze dei lavoratori di conciliare vita professionale e
personale, grazie alla maggiore autonomia di cui essi possono godere nella gestione delle coordinate
spazio-temporali della propria prestazione lavorativa.
In realtà, una recente analisi svolta congiuntamente dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ed
Eurofound – i cui esiti sono confluiti in un rapporto pubblicato a febbraio 2017 e dedicato a telelavoro e
lavoro “mobile” nel settore dell’ICT in 10 Stati membri dell’Ue (Belgio, Finlandia, Francia, Germania,
Ungheria, Italia, Olanda, Spagna, Svezia e Regno Unito), nonché in Argentina, Brasile, India, Giappone e
Stati Uniti – mette in luce come l’utilizzo delle nuove tecnologie non sortisca solo effetti positivi, ma
comporti inevitabilmente anche alcune negatività. In termini di sostenibilità del lavoro, le nuove
tecnologie mobili rendono sempre più difficile prendere le distanze dalle attività lavorative. In effetti,
essere always on, e cioè sempre raggiungibili e disponibili per il datore di lavoro, può accentuare il
conflitto tra il lavoro e la famiglia o comunque la propria sfera personale, perché il confine tra lavoro e
vita privata tende a scomparire.
L’iper-connettività che può derivare dall’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, per un verso, espone a
maggiori rischi la salute – tanto fisica, quanto mentale – dei lavoratori da remoto, i quali possono incorrere
più facilmente in patologie quali il techno-stress, la dipendenza tecnologica, il burnout; per altro verso,
tende a confondere i confini tra vita professionale e vita personale, in contraddizione con la finalità stessa
alla quale si assume sia orientato lo smart working. Tale modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa, infatti, favorisce la cosiddetta time porosity, ovvero la reciproca interferenza e
sovrapposizione tra tempo di lavoro e tempo di vita, che può essere fonte di conflitti personali e familiari.
In questo contesto si collocano la riflessione scientifica e la regolazione giuridica del diritto alla
disconnessione, identificato come un possibile antidoto per gli effetti negativi dello smart working sulla
salute e sul benessere di chi lavora. Possiamo definirlo come il diritto del lavoratore a interrompere i
contatti con il datore di lavoro (non rispondere alle mail, spegnere il cellulare, ecc.), senza per questo
incorrere nell’inadempimento della prestazione e, conseguentemente, esporsi a sanzioni disciplinari.
Gli ordinamenti più avanzati rispetto alla elaborazione teorica e alla disciplina del diritto alla
disconnessione sono quello francese e tedesco, nei quali si sono sviluppate interessanti esperienze
pioneristiche di regolazione per ridurre il lavoro da remoto informale e irregolare, ad opera,
rispettivamente, della contrattazione collettiva (Areva 2012, Syntec 2014) e delle prassi aziendali
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