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Infolampo: precari – retromarcia

precariatoIn aumento soltanto i precari
“A crescere è il lavoro povero, dequalificato, con pochi diritti e scarso salario”, spiega il segretario
confederale Cgil Tania Scacchetti a RadioArticolo1, rimarcando che “al numero di occupati in più non
corrisponde un incremento delle ore lavorate”
Gli ultimi dati sull’occupazione diffusi ieri da Inps e Istat. È questo il tema dell’intervista alla segretaria
confederale Cgil, Tania Scacchetti, realizzata da RadioArticolo1 nella rubrica Italia parla.
“Non bisogna essere eccessivamente ottimisti sullo
0,3% in più di occupati – ha esordito la dirigente
sindacale –. Innanzitutto perché le nostre percentuali
sono comunque lontane di dodici punti dalla media
europea, in particolare quelle attinenti le donne, e poi
perché l’incremento interessa soprattutto la fascia
maschile over 50, costretta dalla riforma Fornero a
permanere per più anni dentro il mercato del lavoro.
Questo significa che non solo resta il blocco per le
giovani generazioni, ma che proprio la fascia 34-49
anni risulta la più penalizzata perché è lì che
aumentano maggiormente gli indici di povertà in
termini assoluti”.
“Per quanto riguarda la cifra dei 23 milioni di
occupati, tanta sbandierata dall’ex presidente del
Consiglio Matteo Renzi come effetto del Jobs Act, va
rilevato che al numero di occupati in più non
corrisponde un aumento delle ore lavorate. Come ha rimarcato una recente ricerca della Fondazione Di
Vittorio in rapporto ai dati della Bce, a crescere è il lavoro povero, basso, dequalificato, con pochi diritti e
scarso salario. Insomma, i 23 milioni di posti di lavoro ottenuti non corrispondono ai 23 milioni raggiunti
del 2008, perché nel frattempo le condizioni lavorative della maggior parte degli occupati sono talmente
peggiorate che non permettono alla maggior parte delle persone una vita dignitosa e autonoma. Una sorta
di part time involontario che non eguali in Europa”, ha commentato la sindacalista.
“In realtà, quello che emerge è proprio il fallimento del Jobs Act: finito il primo anno d’incentivi, le
poche assunzioni registrate sono solo a tempo determinato e non con il contratto a tutele crescenti, la
grande novità della riforma del mercato del lavoro. Dunque, è la bocciatura della politica della
decontribuzione per come è stata pensata. Non c’è un modello in grado di mettere il lavoro a tempo
indeterminato come prima modalità di assunzione: anzi, al contrario, dal 2014 ad oggi quel tipo di
contratti è diminuito e oltre il 75% delle nuove attivazioni è tutto lavoro precario”, ha aggiunto
l’esponente Cgil.
“La liberalizzazione del contratto a tempo determinato, ottenuta grazie al decreto Poletti, è quella che le
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La lunga retromarcia
Dall’atomica al razzismo, fino al proporzionale e ai ‘Grillopardi’, perché il mondo e l’Italia guardano al
passato
di Tommaso Cerno
Un negro viene fatto alzare sull’autobus, un prete minacciato alla messa, lo stupro in fondo in fondo
piace. Mentre, dall’altro capo del mondo, un drappello di generaloni con decine di stellette – righello alla
mano – misurano la gittata di un missile nucleare lanciato verso il Giappone e i ricconi della Silicon
Valley si comprano i terreni abbandonati per impiantarci rifugi anti-atomici. La versione globale e
billionaria di quel che capitava anche a me, da bambino, quando vivevo a pochi chilometri dalla cortina di
ferro e, con mamma e papà, andavo alla fiera dei mobili. Là dove i primi prototipi di computer ci
facevano sgranare gli occhi, erano in vendita – ed era cosa normale – prefabbricati anti bomba H da
installare nel proprio giardino di casa. Era il medioevo nucleare, gli anni del rock&roll, del KKK, del
mondo diviso in due e immobile di fronte alla minaccia mondiale delle superpotenze.
Ma era un mondo che aveva scelto, nel suo profondo, di passare a un’epoca successiva: la parità dei sessi,
l’uguaglianza fra gli esseri umani, il rispetto laico delle religioni e la condanna dei fanatismi (compresi
quelli cristiani). E ancora: il disarmo e lo sviluppo di una tecnica nucleare ben più complessa di quella
con cui gioca a fare la guerra (ahimè reale) il giovane Kim, che sembra uscito da un fumetto degli anni
Cinquanta. Una tecnica che ci facesse guardare dentro quella particella così piccola e così potente, per
trovarci il segreto della vita e non più quello della morte.
All’improvviso tutto questo è svanito. Torniamo indietro. Indietro tutta. E la domanda è semplice: perché
torna a esistere il medioevo nucleare? Perché si sta aprendo davanti a noi il passato? Donald Trump in
fondo è questo, l’America che torna ai suoi anni più bui. L’Europa della voce grossa e dei populismi è
questo, il ritorno al fantasma dei nazionalismi. Le squadracce che ormai le cronache hanno imparato a
incolonnare sono figlie di quel mondo che credevamo dissolto. E che invece torna. Generando in noi una
doppia sensazione: la paura che possa capitarci qualcosa di peggio di quanto sia successo negli ultimi
dieci anni, la crisi economica, roba che per l’Occidente era la nuova peste; ma anche un certo sollievo.
Perché siamo fatti così, proprio come scriveva un uomo che – guarda caso sessant’anni fa, nel caldo mese
di luglio del 1957 – moriva a Roma: Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sì, quello del Gattopardo, per cui
tutto cambia perché nulla cambi. La citazione più abusata d’Italia, il meteo perpetuo del nostro incedere
politico, l’aforisma liberatorio che abbiamo usato migliaia di volte per spiegare a ognuno di noi, ma mai a
tutti noi, nel senso di popolo cosciente, che in questo Paese anche il 4 dicembre del famoso referendum
costituzionale perso da Matteo Renzi è, come per Foscolo fu nel profondo la ricorrenza dei morti, non una
data da ricordare per una sconfitta politica, ma la metafora stessa dei tempi: un quotidiano che non muta
se non guardando indietro.
Ed ecco che la distanza culturale fra Kim, la sua bomba e la nostra retrocessione nella serie B della
democrazia, accompagnata da una lugubre legge elettorale figlia di errori del parlamento e di scarabocchi
su un foglio della Corte costituzionale, non è poi più lunga della gittata dei suoi missili. Anche lo scenario
che ci si para davanti, quel 2018 in cui prevediamo già il grande pareggio alle elezioni politiche, il caos
calmo, il tutto cambi perché nulla cambi, è figlio di tempi che credevamo finiti. Tempi che, rovesciando il
cannocchiale, si sposano quindi bene con la minaccia nucleare sul Giappone e sugli Usa del presidente
cow boy e immigrato, platinato e miliardario un po’ imbroglione. La caratteristica che tiene insieme tutto,
la bomba atomica e il razzismo in piscina, è l’elitismo sprezzante del sistema di comando delle
democrazie di oggi. A parole sono imbevute di valori, nei fatti impregnate di rancori. Democrazie che,
quando hanno tempo da perdere, si portano la mano destra all’orecchio (sempre che non sia stesa in un
saluto romano) per ascoltare, come un pediatra con il cuore di un bimbo, il battito del Paese e copiare la
rabbia che sentono, per dire di essere al passo con i tempi e di essere la cura migliore per questa nostalgia
di un grande ieri – per dirla con Guccini – che abita nella speranza del piccolo domani.
In fondo Kim ci piace. Anche se è vietato dirlo. Ci piace anche Trump. Perché ci aiuta. Perché quando
passeggi per Parigi, come mi è capitato di fare qualche giorno fa, ti senti di nuovo quell’Europa colta e
seria, che in fondo dice di non avere paura. Se poi guardi meglio è spocchiosa come le sue bandiere issate
un po’ ovunque e come quel suo presidente Macron che, dopo soli cento giorni, perde dieci punti.
All’Occidente, per stare unito, servono i cow boy e i folli dittatori con la valigetta atomica come un tempo
serviva il juke box. La valigetta di Kim ogni tanto funziona ogni tanto fa cilecca, ma restituisce al nostro

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metafora-perfetta-del-nostro-globale-indietro-tutta-1.308902?ref=HEF_RULLO