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Infolampo: banche – pensionati

12091-mediaCorto circuito bancario
Le banche sempre più spesso non offrono prestiti a chi ne avrebbe bisogno o a chi lo meriterebbe. Gli
istituti di credito perdono la fiducia delle famiglie e delle piccole imprese e così settori consistenti
dell’economia non hanno accesso al credito
di Nuccio Iovene
Mentre in Parlamento si discuteva dell’ennesimo decreto salva banche (in questo caso quelle venete),
Banca Etica ha reso noto uno studio sull’esclusione finanziaria nel nostro Paese. La stretta creditizia, di
cui si parla da almeno un decennio, concretamente si
manifesta con un sistema bancario che sempre più spesso
non offre prestiti a chi ne avrebbe bisogno o addirittura a
chi lo meriterebbe. Secondo i dati di Banca d’Italia il
credito è seccamente diminuito: negli ultimi anni
(misurando il rapporto tra l’insieme delle esposizioni
bancarie e il Pil in un determinato momento e
indicizzandolo) si è passati dal 120% del valore di questo
rapporto nei momenti migliori a meno del 100% oggi.
Quello che si determina è un circolo vizioso che è alla base
del fenomeno dell’esclusione finanziaria: le banche
potrebbero prestare ma non lo fanno, perdono la fiducia nei
confronti delle famiglie e delle piccole imprese e settori
sempre più consistenti non hanno così accesso al credito.
Ovviamente il fenomeno non si presenta allo stesso modo
dal nord al sud, anzi esso ne rappresenta uno dei fattori di
squilibrio più rilevanti oltre che indicatore di un divario
sempre più evidente. Le dieci provincie in cui si registra la maggiore esclusione finanziaria sono tutte al
sud, tra Sardegna, Calabria, Campania e Sicilia; le dieci con maggiore inclusione al contrario sono tutte
nel centro nord, tra Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Valle D’Aosta, Trentino, Friuli, Veneto e
Marche.
Lo stesso ragionamento vale se si prendono in esame le aree metropolitane con Reggio Calabria prima
nella classifica dell’esclusione finanziaria, a cui seguono, a ruota, Messina, Palermo, Catania, Napoli,
Cagliari e Bari. Se questi dati, drammatici, potevano darsi quasi per scontati, visto il divario persistente e
permanente tra nord e sud, non lo sono quelli relativi alle prime dieci città e provincie in cui l’esclusione
finanziaria diventa (per dimensioni del Pil e/o della popolazione) una priorità sociale perché allora ai
primi posti troviamo città come Roma, ma anche Torino, e poi altre realtà del nord come Monza o
Padova.
Il fatto che questo fenomeno, crescente, non sia stato fin qui misurato e preso in esame già la dice lunga
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Pensioni, Cgil-Cisl-Uil: la
riforma dell’Inps al più presto

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Pensionati, mappa e problemi della grande fuga
Sempre più ultra 60enni si trasferiscono nei Paesi dell’Est e Sud Europa. Mentre la platea storica negli
Stati extra Ue ottiene benefici. Con pochi anni di contributi versati in Italia. Le contraddizioni del nostro
sistema.
di Giovanna Faggionato
Fuggono lungo le rive del Tejo, tra i forti di Malta, a Tenerife o sulle coste del Mar Nero, con in valigia
l’assegno dell’Inps e portandosi via tasse e consumi che non verseranno in Italia. L’esodo dei pensionati
nostrani verso l’estero sembra divenuto un fenomeno strutturale e si unisce agli assegni da pagare agli
emigranti del boom economico, pochi anni di lavoro in Italia, una vita in America del Sud o in America
centrale e spesso molti benefici. Il risultato sono 373 mila assegni pensionistici staccati solo nel 2016 e 1
miliardo di euro che ogni anno almeno dal 2014 prende il largo verso altri Stati.
TENDENZA IN ATTO DALL’INIZIO DEL DUEMILA. La tendenza era già stata analizzata nell’ultimo
rapporto World Wide Inps: è cominciata nei primi Anni 2000, ed è cresciuta di anno in anno, al punto da
costringere l’istituto di previdenza ad aumentare i controlli scoprendo che ben 24 mila pensionati all’estero
erano nel frattempo deceduti. Negli ultimi anni sono cambiate le destinazioni: gli ultra 60enni
abbandonano l’Italia dopo una vita di lavoro per altri Stati Ue con condizioni fiscali più vantaggiose
scegliendo soprattutto l’Est e il Sud Europa. Mentre la platea storica dei pensionati residenti nei Paesi
extra europei pur con assegni molto bassi incassa integrazioni e benefici sociali. «Un’anomalia», ha
dichiarato il presidente dell’Inps Tito Boeri, vista la mancanza di reciprocità aggravata pure dalla scelta
del governo di estendere la quattordicesima a chi incassa fno a due volte l’assegno minimo. Insomma, non
siamo riusciti a frenare la fuga dei primi e siamo andati a rimpinguare le tasche dei secondi.
L’Inps aveva già lanciato l’allarme nel 2015: «Accanto alla «fuga dei cervelli (il fenomeno
dell’emigrazione dall’Italia resta sicuramente legato alla ricerca di occupazione, ma tale condizione
riguarda, in maniera più consistente rispetto al passato, anche lavoratori di media ed elevata
professionalità), inizia ad evidenziarsi anche una ‘fuga dei pensionati’». Solo dal 2010 al 2014 ne sono
espatriati oltre 16 mila, al ritmo di più di 3 mila l’anno. La maggior parte di coloro che hanno tra i 60 e i
64 anni sono concentrati prevalentemente in Europa, mentre gli ultra 80enni si dividono: più di un terzo
in Europa, quasi un terzo sono in Sud America e il 19,5% in America del Nord. Insomma, i nuovi
fuggitivi scelgono soprattutto l’Unione europea.
CONCORRENZA AGGUERRITA TRA PAESI. I vantaggi stanno nelle convenzioni contro la doppia
imposizione, cioè gli accordi stretti tra l’Italia e più di 50 Paesi nel mondo per evitare che un cittadino
italiano residente in un altro Stato venga tassato due volte. Tutte le intese sono differenti ma generalmente
con gli altri Paesi Ue vale il principio che i redditi da lavoro e da pensione vengono tassati nello Stato in
cui si ha la residenza fiscale e per averla basta essere domiciliati nel Paese in genere per più di sei mesi.
Quindi gli assegni dall’Italia arrivano lordi, la concorrenza per attrarre un popolo con redditi certi e pronto
a consumare è agguerrita, e tra basso costo della vita e offerte fiscali ammiccanti la terza età è assai più
dolce.
La maggioranza dei residenti in un’altra nazione europea si trova ancora nelle mete dell’emigrazione
storica, Germania e Francia in primis, ma negli ultimi anni si sta registrando un vero e proprio boom di
trasferimenti in Romania e Spagna. Alle Canarie, una delle destinazioni più gettonate, l’imposta sui
consumi arriva al massimo al 7% e vivere sulla spiagga costa un terzo in meno dell’ordinarietà della
provincia italiana. Ma c’è anche il Portogallo dove con 183 giorni di residenza si ottiene lo status di
“residente non abituale ” e l’esenzione fiscale sul reddito da pensione per 10 anni. In Bulgaria invece le
tasse non si pagano proprio.
NIENTE IMPOSTE E NIENTE CONSUMI. A Cipro, paradiso fiscale nel centro del Mediterraneo, la no
tax area sui redditi arriva fino a 3.420 euro e se viene superata l’imposizione sull’assegno di previdenza è
di appena il 5%. I pensionati di lusso però possono scegliere anche Malta dove per qualcunque fonte di
reddito estero l’aliquota è al 15%. Ma ci sono anche Paesi extra europei con cui sono state concordate le
stesse condizioni: in Tunisia, per esempio, per diventare residente bastano sei mesi e anche qui le
pensioni non sono sottoposte a imposta. In Brasile, i redditi fino a 5 mila dollari sono esenti dalla
tassazione italiana, mentre in Canada la soglia di esenzione arriva ai 12 mila euro canadesi e una volta
superata l’aliquota è al 15%. Un affare per chi fugge, un problema per le casse pubbiche italiane: niente
imposte e niente consumi.
La reciprocità mancante di cui parla Boeri però è su un altro fronte. I regolamenti Ue infatti escludono
Leggi tutto: http://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2017/07/19/pensionati-mappa-e-problemi-della-grande-fuga/212318/