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Infolampo: Tortura – banche

tortureLa tortura finalmente è reato

Rimangano forti le perplessità sul testo appena approvato di una larga parte di giudici, studiosi del

diritto, esponenti della società civile per i quali le nuove norme sono una interpretazione al ribasso delle

convenzioni e dei trattati internazionali

di Giorgio Frasca Polara

Con dure polemiche nel mondo giuridico e della magistratura, e con il solo sostegno della maggioranza di

governo, la Camera ha definitivamente approvato (dopo un va-e-vieni, durato anni, tra i due rami del

parlamento) la legge che introduce finalmente nel codice

penale il reato di tortura. Ma non è una vittoria per quanti – a

cominciare dal primo firmatario della proposta, il sen. Luigi

Manconi, che denuncia lo “stravolgimento” del suo testo

originario – considerano che le nuove norme sono una

interpretazione al ribasso delle convenzioni e dei trattati

internazionali che definiscono il delicatissimo tema della

tortura. Contro la legge hanno votato le opposizioni di destra

(“Le forze di polizia saranno sempre sotto scopa”), mentre si

sono astenute quelle di sinistra e i deputati M5s che hanno fatto

proprie le accuse di una larga parte di giudici, di studiosi del

diritto, di esponenti della società civile.

Come avevano infatti rilevato, in un documento diffuso alla

vigilia della discussione alla Camera, il presidente e la

segretaria generale di Magistratura democratica, Riccardo De

Vito e Mariarosa Guglielmi, e inoltre giudici e pm nei processi

per le inaudite violenze della polizia nei fatti di Genova, molti

docenti e alcune associazioni tra cui quella intitolata a Stefano

Cucchi, le nuove norme sono “confuse, inapplicabili e

controproducenti”. E d’altra parte il rischio di “potenziali

scappatoie per l’impunità” era stato avvertito anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio

d’Europa, Nils Miuznieks.

Tra le conseguenze di vari e deliberati intralci alla condanna per torture si denuncia il fatto che “il singolo

atto di violenza brutale di un pubblico ufficiale su un arrestato potrebbe non essere punito”, dal momento

che nella legge, per delineare la tracciabilità del reato, si precisa che esso si realizza “se il fatto è

commesso mediante più condotte”. Vero è che viene aggiunto un “ovvero se comporta un trattamento

inumano e degradante per la dignità della persona”, ma allora perché prevedere anzitutto che, come ha

rilevato Manconi, “il singolo atto di violenza brutale di un pubblico ufficiale su un arrestato potrebbe non

essere punito”? “Al Senato – è stata l’implicita risposta del responsabile Giustizia del Pd, Davide Ermini –

non c’erano i numeri per un testo diverso: allo stato delle cose non si poteva fare di più”. Come dire (ed è

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Nessuna crescita senza lavoro e

investimenti

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Le banche tra sofferenze e una missione perduta

L’impennata dei “non performing loans” è stata causata essenzialmente dalla lunga crisi, ma ora è

diventata un’ccasione di speculazione – con la vendita forzata – e di ulteriore inquinamento del mercato.

Bisogna tornare a ciò che diceva Einaudi: “Le banche non sono fatte per pagare stipendi o per chiudere

in utile; ma devono raggiungere questi giusti fini col servire nel migliore modo il pubblico”

di Giuseppe Amari

Da qualche tempo è esplosa la questione dei crediti bancari in e si parlava di un ordine di 300 mld su

circa 1.000 dell’intera Europa. Anche se permanevano dubbi sui reali importi e sull’impatto economico.

Ora la Banca d’Italia, nella sua relazione, ci comunica ufficialmente che quelle cifre sono da considerarsi

al valore nominale, mentre lo scorso anno i crediti deteriorati iscritti in bilancio delle banche

ammontavano a 173 miliardi al netto delle rettifiche di valore. Di questi 81 mld sono crediti in

sofferenza ampiamente coperti da garanzie reali e personali. Altri 92 sono già stati svalutati per un terzo.

La maggior parte di essi possono essere affrontati con una “gestione attiva” interna, e solo per circa 20

mld alcuni “intermediari in difficoltà” potrebbero voler procedere a disfarsene con il ricorso a “operatori

specializzati”, e con “rettifiche aggiuntive” di circa 10 mld.

Vi è generale consenso sul fatto che la mole di tali crediti dipenda certamente dalla lunga crisi, aggravata,

almeno in Europa, dall‘austerità cosiddetta “espansiva”, ma anche dalla diffusa mala gestio. Elementi, che

colpiscono in particolare l’Italia come risulta dalla percentuale delle nostre sofferenze rispetto a quelle

europee. Certamente anche a seguito di antiche e nuove debolezze del sistema Italia, a cui ha concorso

ben volentieri il ventennio berlusconiano come non mancò di denunciare, finché fu in vita, un grande

intellettuale ed economista come Paolo Sylos Labini.

Ma va considerato che altri paesi hanno effettuato tempestivi e rilevanti interventi statali,

nazionalizzazioni incluse. In Italia, in omaggio alla storica autoreferenzialità del sistema, permessa anche

dalla Banca d’Italia, sembra sia proibito ogni intervento diretto dello Stato, mentre invece non ci siano

remore per il ricorso a fondi di investimento con sede nei paradisi fiscali e normativi (gli “incappucciati

della finanza” come li chiamava Federico Caffè) o a fondi sovrani di Paesi che non conoscono lo stato di

diritto.

Mentre la BCE e l’Europa spingono per una rapida vendita degli NPL, da parte delle banche e della stessa

ABI, pare stia ora prevalendo una maggiore cautela.

Il fatto è che il recupero dei crediti, secondo i tradizionali metodi interni, si aggira in media sul 40% del

dovuto, mentre le operazioni di vendita di tali crediti ai fondi di investimento, sin’ora effettuate, sono

avvenute a circa il 20%. Una cifra molto più bassa di quanto messo in bilancio al netto della svalutazione,

quindi con perdite patrimoniali notevoli e guadagni speculativi dei fondi acquirenti.

Va ricordato che un abbattimento significativo del patrimonio, per le regole europee che fissano

discutibili coefficienti rigidi tra dimensione del capitale e erogazione di crediti, richiede un correlato

aumento di capitale da chiedere ai vecchi azionisti; i quali, se non in grado di sopperire, dovranno far

ricorso al mercato con la probabile modifica del nucleo di comando. Generalmente a favore dei grandi

fondi di investimento o di multinazionali interessate a concentrazioni, oppure allo “spezzatino”, secondo

logiche puramente finanziarie. (1)

E’ quanto è avvenuto, ad esempio, per Unicredit che ha “improvvisamente” (!) scoperto ed abbattuto

crediti in sofferenza per oltre 10 mld, effettuato un aumento di capitale per 13 mld, e modificato i

rapporti proprietari dell’intero gruppo, compresi Mediobanca e Generali. E nulla a che vedere con la

“public company”, dichiarata dall’attuale management e persino dalla stampa. Ma se ne capirà meglio in

seguito, nonostante l’ostentata rivendicazione della permanente “italianità” del gruppo. Asserzioni e

assicurazioni di cui non ha titolarità il mangement, visto che non siamo più in una situazione di

“capitalismo manageriale”, ma che dovrebbero avvenire dalla nuova proprietà..

L’operazione, nell’inerzia dello Stato e dei vigilanti, ha dimostrato inoltre quale sia la reale situazione del

mercato finanziario globalizzato, e cioè lo stato fortemente oligopolistico sul lato dell’offerta e quello non

meno oligopsonistico della domanda.

Nel consorzio di garanzia del citato aumento, chiuso positivamente in pochi giorni, c’era tutto il Gotha

della finanza internazionale che ha percepito una commissione pari a crca 500 mln (secondo notizie di

stampa) senza alcun rischio. Infatti, sul lato della domanda ci sono fondi comuni e pensione in stretto

rapporto se non controllati dalle medesime grandi banche e corporations finanziarie, alcune presenti nel

citato consorzio. Così molti risparmiatori parteciperanno, a loro insaputa, all’aumento di capitale, come

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