Infolampo: Camusso – Istat

camussoCamusso: «Violate le regole democratiche»

Passa con la fiducia al Senato la “manovrina” che contiene i nuovi buoni lavoro: 144 voti favorevoli, 104

contrari, 1 astenuto. Sabato 17 giugno la risposta della Cgil in piazza San Giovanni, a Roma. “Non si

rispetta il diritto di voto dei cittadini”

I voucher tornano a essere parte integrante dell’ordinamento italiano, e, seppure con una nuova

denominazione, saranno nuovamente utilizzabili da privati e aziende. Il Senato ha infatti approvato con

144 voti favorevoli, 104 contrari, 1 astenuto la “manovrina”

di bilancio che reintroduce i buoni lavoro.

“Hanno sbagliato, ancora una volta si violano le regole della

democrazia, non si rispetta il diritto di voto dei cittadini, anzi

si determina un vulnus e una conferma di un governo e forze

politiche non hanno il coraggio di discutere apertamente nel

Paese dei temi del lavoro”. Così la leader della Cgil,

Susanna Camusso, a margine della presentazione alla

Camera dei diari di Bruno Trentin pubblicati da Ediesse, ha

commentato il voto ribadendo che la lotta prosegue.

“Continueremo – sottolinea Camusso – sul versante del

rispetto dell’articolo 75 della Costituzione, perché c’è

un’indebita abrogazione dei referendum invece che delle

norme, e sul fronte della Carta dei diritti e del contrasto alla

precarietà”.

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Cgil a protestare

In questo modo i nuovi “buoni lavoro”, ovvero il “Libretto

famiglia” e il “Contratto di prestazione occasionale” dedicato alle imprese, diventano legge prima della

manifestazione della Cgil in programma sabato 17 giugno a Roma. Una manifestazione che è stata indetta

proprio per denunciare il colpo di mano della politica che ha aggirato i referendum previsti per il 28

maggio e cancellato con un colpo di spugna i 4 milioni di firme raccolte dalla Cgil.

Ma quella del 17 “non è solo una manifestazione contro i voucher”, come ha sottolineato ieri Tania

Scacchetti, segretaria confederale della Cgil nazionale. “La mobilitazione, decisa in pochi giorni,

potremmo dire in poche ore – spiega la segretaria – vuole rispondere a quello che da subito abbiamo

definito come uno schiaffo alla democrazia. La manifestazione dovrà perciò essere un momento di

reazione collettiva a quanto avvenuto in Parlamento, un precedente pericoloso per le regole democratiche

che sono, innanzitutto, la prima garanzia della convivenza comune”.

LEGGI ANCHE: La lettera di Camusso: in piazza per la democrazia

Ghiselli (Cgil): precedente gravissimo. Non si può aggirare un referendum

Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/tornano-i-voucher-oggi-il-voto-in-senato

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L’Italia ai raggi Istat

Il Rapporto annuale sulla situazione del paese, pubblicato recentemente dall’Istat, certifica la crescita

delle disuguaglianze, con alcuni dati interessanti e qualche polemica sulla metodologia adottata

redazione di Sbilanciamoci.info

Da qualche edizione a questa parte l’Istituto nazionale di statistica ha deciso di scegliere, per (ri)dare vita

al suo annuale Rapporto sulla situazione del Paese, un tema conduttore: due anni fa furono i territori,

l’anno scorso le generazioni, quest’anno i gruppi sociali.

La scelta di quest’anno ha generato un discreto dibattito, non tanto su quello che il Rapporto 2017 ci

racconta dei gruppi sociali, riportato senza nemmeno troppa contezza da un gran numero di testate

nazionali, ma sul metodo attraverso il quale l’Istituto ha deciso di individuare questi gruppi. L’obiettivo è

quello di raggruppare le famiglie in base non solo al reddito ma anche ad altre caratteristiche proprie della

famiglia o della persona di riferimento.

Per fare questo l’Istat usa una tecnica inferenziale: ovvero una tecnica che fa emergere dai dati i gruppi in

cui la società italiana si divide senza bisogno di attrezzarsi con una classificazione e quindi una teoria

aprioristica. Long story short: dall’indagine Eu-Silc, l’Istat ha selezionato un certo numero, a dire il vero

ridotto, di variabili in grado di dare conto delle differenze di reddito tra le famiglie.

Nello specifico le variabili scelte dall’Istat sono: il numero di componenti della famiglia, la professione

svolta, il tipo di contratto di lavoro, la cittadinanza, il titolo di studio. Un albero di regressione di queste

variabili sul reddito ha suddiviso le famiglie in gruppi il più possibile omogenei tra di loro.

Autorevoli voci della sociologia italiana non hanno apprezzato questo approccio, dispensando critiche

soprattutto dal punto di vista epistemologico: “La debolezza concettuale dell’esercizio diventa

metodologica con l’inversione del rapporto tra causa ed effetto. Laddove le classi sono state sempre intese

come fattori generativi di disuguaglianza – e non come il suo risultato –, l’Istat procede in direzione

contraria. Guarda alle diseguaglianze di reddito, di istruzione, di esposizione ai rischi di disoccupazione e

di povertà non come effetti dell’appartenenza a un gruppo sociale, bensì come elementi costitutivi di quel

gruppo” (Barbagli, Saraceno, Schizzerotto su lavoce.info del 23 maggio).

Un argomento che può sembrare a prima vista molto convincente, ma che si rileva altrettanto debole se

osservato più da vicino. La debolezza nasce dal non riconoscere che l’esercizio condotto dall’Istat è un

esercizio di inferenza: il fatto di farsi “suggerire” dai dati sulle differenze di reddito e di altre variabili

l’appartenenza al gruppo non equivale affatto ad assumere che le diseguaglianze generino i gruppi.

In fondo, quello che i critici non sembrano accettare è il tentativo di provare, per una volta, a non partire

da una teoria predefinita che, generalmente, stabilisce l’appartenenza a un gruppo/classe dal ruolo nel

mercato del lavoro della persona e che, a quanto pare, richiede il bollino di una cattedra in sociologia (!).

Il Presidente dell’Istat, Giorgio Alleva, ha ribadito il valore di questo tentativo in un articolo su

neodemos.it “Applicare ai dati classificazioni esistenti è certamente utile e necessario […] Quest’anno si

è applicato un approccio diverso, rinunciando ad assumere ex ante quelle classi come date, ed esplorando

invece con uno strumento statistico e a partire dai microdati d’indagine se emergesse una classificazione

diversa […] L’obiettivo è quindi differente; è perseguito con un approccio metodologico di carattere

inferenziale, reso possibile dalla ricchezza del patrimonio informativo di cui l’Istat dispone.”

Quello che l’Istat sembra reticente ad ammettere è che scegliere le variabili in grado di spiegare il reddito

significa indirettamente avere una teoria su come si forma il flusso di risorse economiche nella famiglia.

E la teoria che l’Istat mette in campo non solo non viene esplicitata, ma sembrerebbe per lo più dettata

dalla disponibilità di variabili dell’indagine Eu-Silc e dalla necessità di replicare la costruzione dei gruppi

con i dati di altre indagini e quindi di scegliere variabili che siano disponibili in indagini diverse.

Di fatto il numero e il tipo di variabili che l’Istat mette sul piatto per individuare i gruppi non sembra del

tutto soddisfacente e non sembra in nessun modo riflettere “la ricchezza del patrimonio informativo”

richiamata dal Presidente Alleva. E forse il ridotto numero di informazioni che concorrono a definire i

gruppi è anche la causa di alcuni risultati bizzarri come il gruppo delle anziane sole e giovani

disoccupati… Non è chiaro poi se siano state fatte delle prove con altri metodi al fine di verificare la

robustezza dei risultati ottenuti. Rimane certamente di valore il tentativo di innovare in un campo di

indagine estremamente attuale. Un tentativo, evidentemente, giudicato troppo sovversivo da taluni.

Una volta individuati i gruppi, l’Istat propone una descrizione di diversi aspetti che li caratterizzano: le

condizioni di salute, la partecipazione sociale e culturale, la partecipazione al mercato del lavoro. I

risultati, tuttavia, appaiono per lo più trainati dalle variabili che incidono nella costruzione dei gruppi

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