Da Infolampo: Carta universale – Lavoro
Cgil di nuovo in piazza. «Ora la Carta universale»
L’appuntamento è il 6 maggio a Roma in piazza Don Bosco con una grande manifestazione nazionale.
Conclude Camusso. Dopo la vittoria sui referendum non si ferma la lotta per la ricostruzione di un diritto
del lavoro fondato su tutele e dignità
Cgil: la sfida per i diritti non si ferma. L’obiettivo della confederazione di corso d’Italia è ora la Carta dei
diritti universali del lavoro: un nuovo Statuto che aggiorni quello del 1970, coniugando la necessità di
intercettare i mutamenti nel mondo del lavoro con la tutela e la garanzia dei diritti per le persone. Una
battaglia, dunque, che rifiuta la logica del lavoro come sfruttamento e quella della flessibilità estrema e
della precarietà diffusa come unica risposta alla crisi in atto.
Per questo sabato 6 la Cgil sarà di nuovo in piazza. L’appuntamento è a Roma, in piazza San Giovanni
Bosco, a partire dalle
ore 14, dove si svolgerà
una grande
manifestazione
nazionale. Ci sarà live
music, con Med Free
Orkestra e Modena City
Ramblers, Dj
Mondocane,
presenteranno Natascha
Lusenti e Dario
Vergassola. Concluderà
la manifestazione il
segretario generale della
Cgil, Susanna Camusso.
Dopo la decisione della
Suprema Corte che ha
sospeso i referendum
promossi dalla Cgil a
seguito della conversione in legge del decreto che ha abolito le norme su voucher e appalti, la
confederazione rilancia dunque la sfida. Una sfida che, come più volte ribadito dalla leader del sindacato
di corso d’Italia, “non si concluderà finché la Carta universale non sarà legge e non avremo riscritto il
diritto del lavoro in questo Paese”.
“Finalmente, senza voucher e con regole più giuste sugli appalti, il lavoro è tornato protagonista”.
L’obiettivo ora è la Carta dei diritti universali: per questo la Cgil torna in piazza per costruire, come recita
la parola d’ordine della manifestazione, “tutta un’altra Italia”.
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Lavoro, chi si accontenta gode?
Come percepiamo le nostre condizioni di lavoro? La risposta cambia tra uomini e donne. Un’inchiesta
condotta su oltre 42mila persone spiega perché
di Simona Cicognani, Martina Cioni, Marco Savioli
Le condizioni di lavoro hanno una profonda influenza sulla soddisfazione lavorativa, sul rischio di
infortuni e sulle malattie lavorative. Tutto ciò si ripercuote sulla nostra salute e sulla qualità della vita,
come ampiamente noto in ambito di economia del lavoro[1]. Sono state invece scarsamente indagate le
determinanti delle condizioni di lavoro vissute dai lavoratori.
Un recente studio[2] ha tentato di colmare questo vuoto analizzando come siano percepite le condizioni
lavorative e proponendo una spiegazione di tipo comportamentale. Partendo dalla considerazione che i
dati sulle condizioni lavorative derivano spesso da auto valutazioni rilevate tramite questionari anonimi,
lo studio si concentra in particolare sul lato percettivo del fenomeno. Difatti l’assunto fondamentale che
viene proposto è che il lavoratore attivi automaticamente, e forse inconsciamente, un confronto tra le
condizioni di lavoro effettive e quelle attese nel dichiarare quelle che sente essere le proprie condizioni di
lavoro. Più nello specifico, le condizioni di lavoro percepite sarebbero il risultato di una sottrazione delle
condizioni attese da quelle effettive. Tale approccio nello spiegare fenomeni economici non è nuovo, ma
ampiamente fondato sulla reference point theory, teoria economica formalizzata e validata
empiricamente, talmente importante da meritare un premio Nobel per l’economia, assegnato nel 2002 a
Daniel Kahneman[3]. Un medesimo risultato può portare a soddisfazioni anche molto diverse a seconda
delle aspettative.
Per esempio, vincere un premio alla lotteria sapendo che il premio è il più alto ottenibile ci renderebbe
felici, mentre vincere lo stesso premio sapendo che si tratta del più basso ottenibile ci farebbe sentire
delusi[4]. Parallelamente, le stesse condizioni di lavoro effettive possono essere percepite in modo
diverso dai lavoratori in base a quelle che si aspetterebbero come condizioni di lavoro giuste ed eque.
Se si accetta tale linea di ragionamento diventa rilevante analizzare le caratteristiche personali di
lavoratori che hanno effettivamente la stessa mansione da svolgere in medesime condizioni di lavoro. Le
caratteristiche personali, infatti, possono influenzare le aspettative sulle condizioni di lavoro, con un
impatto indiretto sulle condizioni di lavoro percepite. Il genere sembra essere una caratteristica
fondamentale nell’influenzare la percezione delle condizioni di lavoro. Il primo ad avanzare
un’interpretazione in questa direzione è stato Clark[5], a proposito del paradosso di genere sulla
soddisfazione del lavoro: seppur le donne affrontino in media condizioni di lavoro peggiori rispetto agli
uomini, riportano livelli più elevati di soddisfazione lavorativa. La spiegazione di questo apparente
paradosso avanzata da Clark è che le donne, spesso maggiormente impegnate nel lavoro domestico
rispetto agli uomini e percettrici di un guadagno secondario all’interno della famiglia, avrebbero
aspettative minori degli uomini rispetto al proprio lavoro. Tale motivazione è corroborata dal fatto che le
donne presumibilmente caratterizzate da più alte aspettative – come quelle in posizioni manageriali o con
madri in lavori professionali – non riportino un livello più elevato di soddisfazione lavorativa rispetto agli
uomini.
Nello studio sulla percezione delle condizioni lavorative precedentemente menzionato[2], è stata condotta
un’analisi econometrica sulla banca dati Istat sulle forze di lavoro (che per l’anno 2007 includeva un
modulo ad hoc sulle condizioni lavorative). Il campione analizzato ammonta a 42.198 tra lavoratori e
lavoratrici. Le condizioni lavorative rilevate sono sia fisiche sia psicologiche.
Le condizioni di lavoro fisiche includono: esposizione a polveri, fumi, sostanze chimiche; esposizione a
rumori eccessivi o vibrazioni; posture dannose o carichi pesanti; esposizione a rischio di infortunio.
Le condizioni di lavoro psicologiche annoverano: carico di lavoro eccessivo; esposizione a fenomeni di
prepotenza o discriminazione; esposizione a minacce o violenze fisiche.
Poiché le domande si riferivano alla presenza di cattive condizioni di lavoro, gli indicatori aggregati
ottenuti e spiegati nello studio sono espressi in termini di cattive condizioni di lavoro fisiche, psicologiche
e totali.
È interessante analizzare innanzitutto la distribuzione delle condizioni di lavoro di donne e uomini fra le
diverse regioni italiane. Le due mappe riportate nella figura 1 confermano che gli uomini, avendo valori
più alti dell’indicatore “cattive condizioni di lavoro”, segnalano condizioni di lavoro peggiori rispetto alle
donne. La spiegazione che viene proposta è che le donne, aspettandosi condizioni lavorative peggiori,
probabilmente anche a seguito delle maggiori difficoltà di partecipare al mercato del lavoro, riportano
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