News ItaliaUltimissime Notizie

Da Infolampo: Professioni – Ridere

91b21d29-7de7-437d-a7c9-73a5d3f7854bLa crisi delle professioni

Il caso più eclatante è quello degli avvocati. Un quarto delle toghe lo scorso anno ha guadagnato meno

di 1.000 euro al mese. Sono i più giovani: lavorano nei grandi studi formalmente come autonomi, ma di

fatto alla completa dipendenza del titolare

di Stefano Iucci

Poveri avvocati. Una delle professioni tradizionalmente più gettonate, via di fuga classica dalle “pastoie”

di molto lavoro dipendente in Italia – con i suoi stipendi

mediamente bassi e la subordinazione a un capo – segna il

passo e si adegua ai tempi di una crisi che sembra non

risparmiare più nessuno. Gli ultimi dati disponibili, infatti, ci

dicono che, a fronte di un 5 per cento di professionisti che

guadagnano la metà dell’intero fatturato prodotto dalla

categoria, esiste una stragrande percentuale di avvocati che si

barcamena con redditi piuttosto bassi. Un quarto delle toghe

italiane lo scorso anno ha dichiarato meno di 1.000 euro al

mese. Su 240.000 iscritti all’ordine, in 60.000 dunque non

guadagnano più di 10.000 euro l’anno e 40.000 sono fermi a

20.000. Insomma: il 7,5 per cento più ricco (16.000 persone

su 235.000) si accaparra da solo 3,9 miliardi di euro. Non

meravigliano dunque i dati che vedono l’appeal di questa

professione ridursi progressivamente negli anni: se nel 2008 i

nuovi iscritti all’albo erano 14.237, nel 2005 sono diventati 9.445, con un calo del 33 per cento.

Come è stato possibile arrivare a questa situazione? Le spiegazioni classiche – ci sono troppi avvocati –

non convincono. Nella realtà la situazione è più complessa: molti di questi professionisti (in particolare i

più giovani e quelli a basso reddito) lavorano in mono-committenza in grandi studi legali, soprattutto

nelle città. Sono, cioè, solo formalmente lavoratori autonomi ma, di fatto, galoppano tutto il giorno per i

grandi avvocati a fronte di paghe misere: nel settore vengono chiamati sans papier. Per questo la Cgil,

insieme ad alcune importanti associazioni che rappresentano gli avvocati (Mga, Anf e Agifor), ha iniziato

una raccolta di firme on-line per far decadere quello che tutti ormai considerano un anacronismo: e cioè il

divieto per gli avvocati iscritti all’albo di avere un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, una

sorta di contratto, insomma, che migliori la propria condizione, non solo retributiva.

“I professionisti che operano in mono-committenza – spiega Cristian Perniciano, responsabile della

Consulta delle professioni della Cgil – sono in una situazione paradossale. Lavorano spesso in esclusiva

per un capo, che si chiama addirittura ‘dominus’, che decide i loro orari di lavoro, gli mette a disposizione

una scrivania, un ufficio. Non hanno nessuna possibilità di essere davvero lavoratori autonomi e di

crescere come tali. È una situazione che non può essere ignorata e sulla quale occorre intervenire. L’idea

Leggi tutto: http://www.radioarticolo1.it/articoli/2017/04/21/8029/la-crisi-delle-professioni

Al via l’Ape sociale, l’anticipo

pensionistico agevolato

Leggi su www.spi.cgil.it

www.internazionale.it

Chi l’ha detto che non c’è niente da ridere?

D’accordo: in tempi come questi c’è poco da ridere. Ma, proprio perché è meno facile del solito che una

risata ci venga spontanea, forse dovremmo cominciare a coltivarle, le risate e le occasioni per ridere,

come se si trattasse di un bene prezioso.

di Annamaria Testa, esperta di comunicazione

Cominciamo con il ricordare alcuni fatti. Ridere è una risposta emotiva a uno stimolo esterno. Indica

sorpresa, gioia, eccitazione, sollievo, felicità. Il respiro si modifica, una serie di muscoli si contrae, i denti

si scoprono, gli occhi si inumidiscono e, come scrive un bell’articolo della Bbc, noi facciamo un sacco di

strani rumori primitivi.

Ridiamo trenta volte di più quando siamo in compagnia che quando siamo da soli, ricorda il New York

Times, e non necessariamente lo facciamo per una battuta. Le persone ridono più o meno tutte allo stesso

modo, a qualsiasi cultura appartengano e qualsiasi lingua parlino.

Un fatto piuttosto evidente

Pochi altri esseri viventi sanno ridere: lo fanno le grandi scimmie, nostre vicine cugine e, come noi,

ridono anche quando vengono solleticate. Qui potete vedere e sentire come ride uno scimpanzé: produce

un ah alla volta, mentre noi (che, sapendo parlare, sappiamo anche controllare meglio il respiro)

produciamo sequenze di ah-ah-ah e di oh oh oh. I neonati umani ridono come gli scimpanzé.

Già: i neonati sanno ridere. Ci riescono molti mesi prima di crescere abbastanza per essere in grado di

parlare, e ridendo stabiliscono un legame affettivo più forte con i genitori. Da diverse parti, in rete e non

solo, si sostiene che un bambino di quattro anni rida 300 volte al giorno mentre le risate di un adulto

arriverebbero a stento alla ventina, ma non sono riuscita a trovare una fonte primaria affidabile. Che i

bambini ridano più degli adulti è però un fatto piuttosto evidente.

Ridere è un’emozione sociale e un positivo strumento di interazione

Ridono i topi (se volete convincervene, trovate un ratto e fategli il solletico). Ridono, o almeno fanno

qualcosa di piuttosto simile, anche i cani. Ride, più o meno, un uccellino australiano: il kookaburra

sghignazzante (Dacelo novaguinaeae). Se volete sentire come fa, ci sono diversi video su YouTube. A

parte questi, nessun altro animale sa ridere.

Il fatto che condividiamo con i primati la capacità di ridere fa pensare che la risata abbia radici

biologiche, e che saper ridere costituisca un vantaggio evolutivo. In effetti, ridere è un’emozione sociale e

un positivo strumento di interazione: indica una propensione giocosa e rafforza i legami. Per questo, e

dato che ridere è anche contagioso, una risata si trasforma facilmente in una specie di collante sociale.

E poi: ridere favorisce l’apprendimento. Ed è un segnale importante nel corteggiamento, specie nelle

prime fasi. Qui viene fuori un fatto curioso: sembra che le donne apprezzino di più gli uomini che le

fanno ridere, e che gli uomini apprezzino di più le donne che ridono.

Una lunga serie di studi condotti in diverse università americane nel corso degli ultimi trent’anni sta a

dimostrare questa divisione dei ruoli. Tutto ciò, tra l’altro, può anche farci pensare che i meccanismi del

corteggiamento, almeno negli Stati Uniti, siano meno misteriosi e più prevedibili di quanto pensiamo o

vorremmo.

Ridere fa aumentare la soglia di tolleranza del dolore, aiuta l’apprendimento e attenua il disagio e le

tensioni politiche

La cosa più interessante è che le risate sono, nelle singole relazioni, un ottimo indicatore del livello di

attrazione reciproca tra le persone. Insomma: più ridiamo insieme, più ci piacciamo (e molto

probabilmente viceversa). Dunque, se avete un appuntamento a cui tenete, disponetevi a ridere o a far

ridere. Evitate però toni più sarcastici e aggressivi: quelli che non suscitano la risata aperta, ma una

reazione più complessa di sorpresa, spaesamento e disagio. È intuitivo capire come mai è uno stile che

proprio non funziona.

E ancora: ridere migliora il flusso sanguigno. Riduce il livello degli ormoni dello stress come il cortisolo

e l’adrenalina e aumenta il livello delle endorfine e degli anticorpi. Insomma: fa proprio bene.

Ma non solo: ridere ha un effetto anestetico e migliora la soglia di tolleranza al dolore fisico. Il primo ad

accorgersene, già alla fine degli anni settanta, era stato il giornalista e attivista per i diritti civili Norman

Cousins, che affermava di essere riuscito a curarsi da una grave forma di artrite con alte dosi di vitamina c

e di film dei fratelli Marx. Ridere può perfino attutire le situazioni di disagio sociale e le tensioni

politiche, scrive Slate: sembra che, prima della caduta del muro di Berlino, molte battute antisovietiche

Leggi tutto: http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2017/04/19/ridere-benefici-salute-
umore