Da Infolampo: Migranti – Welfare
Migranti, oltre lo spioncino della nostra fortezza
Se provassimo a ragionare sulle motivazioni che spingono milioni di persone a intraprendere viaggi
pericolosi e a rischio della loro stessa vita, avremmo una visione più reale del fenomeno e di come
affrontarlo, evitando il solo approccio securitario
di Sergio Bassoli
Il gran parlare di questi giorni sui migranti purtroppo non è accompagnato da un’analisi e da
un’informazione orientata ad assumere comportamenti e decisioni tanto difficili quanto indispensabili per
uscire dalla logica della fortezza europea, mettendo in
discussione le nostre politiche nazionali e internazionali. Si
continua a distinguere tra migrante economico e rifugiato,
lasciando intendere l’esistenza di una scala di diritti umani,
ragion per cui chi fugge dalla fame, dalla povertà, dalla
schiavitù, dalla desertificazione, ha meno diritti di chi fugge
dalle bombe, e deve tornarsene indietro, deve rimpatriare per
dovuto castigo di sofferenza perpetua.
Si pensa di rispondere alla gestione di un flusso migratorio
mondiale, crescente, senza soluzione di continuità,
costruendo barriere, centri di detenzione, d’identificazione e
quant’altro possa allontanare dalle nostre case e dai nostri
confini queste persone, quando questo è saldamente in mano
a una rete internazionale sofisticata di organizzazioni
criminali, immersa in una dinamica perversa di collusione con dittature e regimi di turno. I quali non si
fanno alcuno scrupolo ad approfittare di questo mercato di esseri umani a fini ricattatori, per non essere
disturbati e per avere prestiti e donazioni, per sottoscrivere accordi con multinazionali, agenzie
internazionali, stati e organizzazioni sovranazionali, come l’Unione europea e i suoi Stati membri.
Si continua a vedere il problema dallo spioncino della trincea in cui ci siamo nascosti, cocciutamente
impossibilitati a voler vedere, capire e affrontare le cause e le dimensioni di un fenomeno, la migrazione,
che ci viene descritto come altro da noi, ma che in realtà è parte della nostra storia, del nostro presente e
futuro. Nei giorni scorsi, a seguito della morte in un Centro di prima accoglienza a Cona, in provincia di
Venezia, di una giovane ivoriana di 25 anni, e della rivolta degli stranieri ivi ospitati in condizioni
disumane, è ripreso con la solita foga decisionista e securitaria il dibattito nazionale sulla questione
migranti e rifugiati, con nuovo rischio di deriva populista, a cui il governo, anziché contrapporre un
programma articolato tra i diversi ministeri competenti, le autorità locali, le parti sociali e il terzo settore,
sembra preso dalla necessità di rincorrere le ondate populiste sul loro terreno. Anno nuovo, ma politica
vecchia.
La questione è complessa e complicata, ma deve essere affrontata, e noi abbiamo strumenti ed elementi
sufficienti per costruire un percorso e un piano che riesca a prendere in considerazione l’insieme del
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Una ricerca dell’Auser su come
cambia l’assistenza agli anziani
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Welfare aziendale, una rivoluzione che ignora le mamme
Offrire servizi al dipendente rende più semplice la conciliazione vita-lavoro, aumenta produttività e
potere d’acquisto delle persone. Ma in Italia le misure per la maternità ancora non hanno preso piede. Il
punto.
di Francesca Guinand
È una società composta al 70% da donne e ha raggiunto i 650 milioni di fatturato. Si chiama Welfare
Company e si occupa di welfare aziendale e pubblico. È la prima realtà italiana – nata da “Qui! Group” –
che propone strumenti innovativi a supporto di dipendenti, degli utenti e delle famiglie. Gregorio
Fogliani, presidente di “Qui! Group”, spiega: «Anche grazie al nuovo regime fiscale introdotto con la
Legge di Stabilità, in Italia stiamo assistendo a una straordinaria crescita del settore del welfare. Sempre
più aziende hanno preso coscienza del fatto che offrire servizi al dipendente è un’ottima opportunità su
tutti i fronti: rende più semplice la conciliazione vita-lavoro delle persone, migliora il clima in ufficio,
incrementa la presenza femminile e la produttività, oltre ad aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori
con ricadute positive su tutta l’economia e sul benessere personale. Usufruendo dei benefit più diffusi, il
dipendente “guadagna” un importo pari a uno stipendio in più».
IL LAVORATORE SI FIDELIZZA. Già, le aziende si stanno rendendo sempre più conto che se sono
loro per prime flessibili nei confronti dei propri dipendenti, se offreno servizi di welfare come i buoni
pasto – il primo esempio a essere stato utilizzato nel nostro Paese -, contributi per le scuole dei figli, per la
formazione, cure sanitarie o strumenti per realizzare smart working, il lavoratore rende di più, si fidelizza,
tenderà a dare il massimo e a non cercare un altro impiego.
Chiara Fogliani, consigliere d’amministrazione di Welfare Company, dice a Lettera43.it: «Sia le piccole
sia le grandi imprese hanno le stesse necessità, cioè sostenere con il welfare i bisogni del dipendente. Ma
noto che l’attenzione verso le lavoratrici donne e madri viene dopo, servizi di welfare anziendale destinati
specificatamente alla maternità ancora non hanno preso piede».
I GENITORI HANNO SOFT SKILL. Le lavoratrici madri, insomma, sono anche in questo caso quelle
più penalizzate. Se le imprese si rendono conto che trattenere e valorizzare il talento dei propri dipendenti
è importante, ancora faticano a capire che perdere una professionista che è diventata mamma lo è
altrettanto, se non di più. Una madre, come un padre, sviluppa in pochi mesi quelle soft skill sempre più
ricercate da aziende e multinazionali, che spesso pagano corsi di formazione per far acquisire queste
competenze ai lavoratori. Ma non servono corsi: basta “esercitare” la genitorialità per acquisirle.
DUE ANNI PER COLMARE IL GAP. Secondo Fogliani «il welfare aziendale è un mondo nuovo e io
credo che nel giro di due anni il gap dei servizi offerti alle madri e ai padri rispetto a tutti gli altri
dipendenti verrà colmato. Credo nel mondo femminile e in quello delle pari opportunità e sono sicura che
il valore delle donne verrà compreso prestissimo anche all’interno delle aziende».
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che-ignora-le-mamme/208105/