Da Infolampo: Diritti – Donne
Cgil, la sfida per i diritti non è ancora conclusa
Dopo quella della Cassazione, si attende per l’11 gennaio la valutazione della Corte Costituzionale. La
partita vera, nata con la raccolta firme sui quesiti referendari e sul nuovo Statuto, si gioca – tempistiche
elettorali permettendo – a partire da oggi
di Esmeralda Rizzi
L’11 gennaio la Corte Costituzionale deciderà
sull’ammissibilità dei tre quesiti referendari della Cgil.
L’ha ricordato ieri sera dal salotto di Giovanni Floris a
“diMartedì” su La7, la segretaria della confederazione
Susanna Camusso, ribadendo la necessità di rimettere
ordine a una legislazione del lavoro che è un disastro.
Camusso ha anche ricordato che la Cgil ha depositato in
Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare
sulla Carta dei diritti fondamentali del lavoro, uno Statuto
2.0 moderno e in sintonia con cambiamenti intervenuti nel
mondo e nell’organizzazione del lavoro, affiancata dai tre
quesiti referendari su cancellazione del lavoro accessorio –
voucher –, reintroduzione della piena responsabilità
solidale in tema di appalti e nuova tutela reintegratoria nel
posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo –
ripristino dell’articolo 18 –, sui quali dopo quella della
Cassazione, del 9 dicembre, si attende ora la valutazione
della Consulta.
Intervistata su nuovo governo e i nodi urgenti da affrontare, Camusso, dagli schermi de La7, aveva
ribadito che la priorità oggi è creare lavoro per i giovani, “lavoro buono”, con diritti, garanzie e tutele.
Non lavoro purché sia, valido a fare numero nelle statistiche, ma non a dare prospettive di vita. “Non
possiamo accettare meccanismi come i voucher, che, nati per pagare i ragazzi che d’estate vanno a
lavorare nelle vigne, hanno di fatto spalancato le porte al lavoro irregolare e allo sfruttamento. Oggi in
Italia possiamo calcolare una media di 300 mila persone retribuite con voucher per lavori che dovrebbero
essere inquadrati come lavoro dipendente con un contratto, retribuzioni dignitose, diritti e tutele”. Non a
caso uno dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil prevede proprio l’abrogazione del sistema dei buoni
lavoro. La sfida per i diritti della Cgil, nata con la raccolta firme sui tre quesiti referendari e sulla Carta
dei diritti, non è dunque finita. La partita vera, tempistiche elettorali permettendo, si gioca a partire da
oggi.
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Fermate quelli della querela facile
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L’occupazione femminile come volano per la natalità
Occupazione femminile, stabilità familiare, nuove nascite. C’è davvero una stretta connessione tra questi
nodi. La Francia ci svela perché
di Ilaria Romano
Allineare i tassi occupazionali femminili attraverso la promozione di una legislazione paritaria si
configura come una delle condizioni economico-sociali per lo sviluppo demografico odierno.
Secondo l’Istat, tra il 2008 e il 2015, si è registrato un record negativo delle nascite in Italia: la
popolazione, a fronte di una mortalità stazionaria, è diminuita, infatti, di 139 mila unità, facendo
registrare, altresì, un tasso medio di fecondità pari solo all’ 1,37 figli per donna[1].
Le cause alla base di tale fenomeno sono molteplici. Le stentate politiche di sostegno familiare e
occupazionale, insieme al perdurare degli stereotipi, vanno a influenzare e a comprimere,
inequivocabilmente, le scelte riproduttive delle giovani coppie, modificando e rinviando i progetti di
fecondità[2]. A ciò si aggiunga il forte impatto dell’attuale crisi economica soprattutto sulle persone più
giovani, sulla loro entrata nel mercato del lavoro e sulle condizioni di lavoro. Sono diversi gli studi che
indicano come, per le giovani coppie, la stabilità sia un requisito considerato necessario per mettere al
mondo un figlio così come la solidità economica, che soprattutto tra i più giovani è legata al doppio
reddito. Inoltre, in un mercato del lavoro ostile alla maternità, e in presenza di un welfare inadeguato,
sono soprattutto le donne che rallentano le scelte riproduttive, che vogliono proteggere il proprio lavoro,
salvaguardare le proprie aspettative professionali e il loro investimento in istruzione. Il lavoro delle donne
è una componente essenziale per l’equilibrio economico familiare e le misure a vantaggio dello stesso
favorirebbero la ripresa demografica[3].
I paesi in cui c’è un saldo demografico positivo ci parlano di una relazione positiva tra figli e occupazione
femminile: si guardi alla Francia, che abbiamo già citato a proposito di pari opportunità in azienda.
Quest’ultima, non a caso, con il 2,01 figli per donna registra un tasso medio di natalità tra i più alti
d’Europa.
Con l’emanazione delle ultime normative, il legislatore francese ha deciso di sostenere l’occupazione
femminile mediante la destinazione del 3% del Prodotto interno lordo ai servizi per l’infanzia.[4] Inoltre è
stato isituito un assegno di base mensile per le madri che scelgono un congedo di maternità di un anno,
oltre a un “premio alla nascita” pari a 923,08 euro. A ciò si aggiungano le prestazioni integrative della
custodia dei bambini di età inferiore a 6 anni erogate alle coppie o alla persona alle cui dipendenze dirette
lavora un’assistente materna abilitata o una baby-sitter a domicilio. Diverse poi, sono le agevolazioni e i
vantaggi previsti per le famiglie numerose nell’utilizzo dei servizi essenziali: sconti su treni,
metropolitane, bus. Il “trucco” del successo francese è da rinvenire anche nella predisposizione di
politiche di assistenza economica a tutti i tipi di famiglia, indipendentemente dal fatto che i genitori siano
sposati o conviventi. Così procedendo le nuove generazioni affrontano il fare famiglia e l’avere dei figli
in modo meno rigido e preordinato, delineando un regime demografico nuovo, in continua crescita. La
Francia riconosce alla presenza femminile nel mercato del lavoro un ruolo strategico nel favorire lo
sviluppo della società[5].
Per vincere la sfida, il nostro paese deve impegnarsi a concretizzare il rapporto osmotico tra occupazione
femminile e nuove nascite, grazie a misure concrete come quelle francesi, ma anche mediante la
sensibilizzazione dell’opinione pubblica e politica[6]. A tal riguardo, l’Italia è stata oggetto di una
campagna promozionale incentrata sul tema della fertilità promossa dal Ministero della salute. Le
polemiche che ne sono scaturite evidenziano come il cambio di rotta dovrebbe derivare da sinergie
politico-sociali volte alla rimozione di quei vincoli e di quelle costrizioni che i giovani, e specialmente le
donne giovani, incontrano sul mercato del lavoro e mantengono la riproduttività inferiore a quella
desiderata.
L’attuale esempio francese potrebbe costituire per l’Italia l’occasione per una grande mobilitazione
cognitiva e d’esperienza: emulare questo modello economico significherebbe contribuire allo sviluppo di
una società sensibile ai progetti e ai desideri tanto della collettività quanto degli individui che la
compongono.
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