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Da Infolampo: Tenere unito il Paese – Scarpe made in uropa…

Scarpe-Europa-1024x445Pedretti, Spi Cgil: “L’obiettivo comune è tenere unito il

Paese”

“Trovo giusta – afferma Pedretti – l’indicazione data da Mattarella sull’approvazione della

legge di bilancio. Sarebbe un segnale importante poi – aggiunge – se le forze politiche trovassero

un accordo sulla legge elettorale per permettere ai cittadini di tornare ad esprimersi e avere così

un governo legittimato”.

“A proposito del referendum e delle sue conseguenze

politiche, credo che dietro a questo inequivocabile

risultato ci sia la bocciatura di una riforma costituzionale

mal fatta ma anche il segno di un profondo disagio

sociale, che si annida soprattutto al sud, tra i giovani e tra

i disoccupati”. Il Segretario generale dello Spi Cgil Ivan

Pedretti interviene sull’esito del referendum

costituzionale e invita tutti, dalla politica alle parti

sociali, a lavorare per tenere unito il Paese.

“Trovo giusta – afferma Pedretti – l’indicazione data da

Mattarella sull’approvazione della legge di bilancio. Per

noi significa confermare gli impegni assunti dal governo

sulle pensioni e nella gestione del post terremoto.

Sarebbe un segnale importante poi – aggiunge – se le

forze politiche trovassero un accordo sulla legge

elettorale per permettere ai cittadini di tornare ad

esprimersi e avere così un governo legittimato. Mi

auguro che la politica per una volta sappia fare le cose

per bene, che non pasticci e che sappia garantire

soluzioni credibili e di buon senso”.

“Serve un profondo sforzo da parte di tutti per tenere

unito il paese”, conclude il Segretario generale dello Spi Cgil. “Anche il Sindacato può e deve

fare la propria parte. E la Carta dei diritti proposta dalla Cgil va proprio in questa direzione. Si

apre una stagione in cui tra tutti deve prevalere il bene comune.

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paese.html#more-7533

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Scarpe made in Europe, salari da fame

Il «made in Europe» è spesso considerato una garanzia di qualità e di buone condizioni di

lavoro. Ma è davvero così? Il Rapporto della Clean Clothes Campaign, tradotto ora anche in

italiano, racconta un’altra storia

Il «made in Europe» è spesso considerato una garanzia di qualità e di buone condizioni di lavoro.

Numerose inchieste realizzate nell’ambito del progetto Change Your Shoes hanno però rivelato

un lato nascosto dell’industria calzaturiera, dalle concerie toscane fino alle fabbriche dell’Est

Europa. Scarpe «italiane» o «tedesche» ma in realtà prodotte in fabbriche in Macedonia o

Albania, dove decine di migliaia di operaie lavorano in condizioni scandalose e per salari spesso

inferiori a quelli retribuiti in Cina. Dall’esame delle condizioni di lavoro in queste aziende

possiamo concludere che l’esternalizzazione delle produzioni condotta dai marchi europei verso i

paesi dell’Est Europa non si basa su processi di responsabilità e trasparenza. E non produce

dignità e benessere per le lavoratrici che vivono in situazione di povertà e spesso di miseria.

Nel 2014 nel mondo sono state prodotte 24 miliardi di paia di scarpe. Benché la maggior parte

provenga dall’Asia, il 23% delle scarpe di pelle, più costose, viene prodotto in paesi europei, fra i

quali spicca l’Italia. È inoltre in Italia che avviene il processo di conciatura del 60% di tutto il

cuoio prodotto nell’Unione Europea. Questo compito gravoso viene spesso affidato ai lavoratori

immigrati, un fenomeno ben visibile nelle concerie intorno a Santa Croce, in Toscana, come

racconta Una dura storia di cuoio, un’indagine che descrive la realtà di queste migliaia di

lavoratori che quotidianamente maneggiano carichi pesanti e sostanze chimiche senza protezioni

adeguate.

Non di rado le fasi più onerose della produzione vengono esternalizzate in paesi dell’Est Europa,

consentendo così alle marche italiane e tedesche di trarre profitto dalla manodopera a basso costo

e dai tempi di produzione più brevi. Con il rapporto “Il lavoro sul filo di una stringa” curato da

Public Eye e ENS, la campagna Change Your Shoes è entrata nelle fabbriche di sei paesi dell’Est

Europa per raccontarne le difficili condizioni di lavoro. In Albania, Macedonia e Romania il

salario minimo si situa fra i 140 e i 156 euro mensili, cifre inferiori a quelle previste in Cina. Per

poter mantenere le proprie famiglie le operaie dovrebbero guadagnare da quattro a cinque volte

tanto

Venendo pagate a cottimo, spesso le lavoratrici preferiscono poi rinunciare ai guanti o ad altro

materiale di protezione contro le colle e le sostanze chimiche che devono maneggiare, così da

poter lavorare più rapidamente. Similmente all’industria tessile, il settore calzaturiero è affetto da

problemi strutturali che non si fermano di fronte alle frontiere europee.

La nostra indagine mostra anche che marche e distributori non si interessano abbastanza alle

condizioni di lavoro nelle fabbriche in cui le scarpe vengono prodotte. Dalle interviste svolte e

dai siti web delle aziende risulta che la produzione è realizzata intera-mente per conto di noti

marchi e catene distributive che ope­rano sui mercati dell’Unione Europea, fra questi Zara, Lowa,

Deichmann, Ara, Geox, Bata, Leder & Schuh AG, Ecco. A tutti i marchi e distributori coinvolti

chiediamo di assumersi le proprie responsabilità e di mettere in atto le misure necessarie affinché

il rispetto dei diritti umani sia garantito nella totalità della loro catena di produzione. Soprattutto,

che si impegnino perché agli operai ed alle operaie venga versato un salario dignitoso.

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