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Da Infolampo: Sanità – Welfare

777-kbJ-673x320@IlSecoloXIXWEBSanità e politiche socio sanitarie regionali: la Regione

non ci ha ancora risposto!

Conferenza stampa Spi Fnp Uilp Marche 12.10.2016

Il 5 luglio scorso SPI FNP e UILP Marche presentarono il documento unitario “Proposte per una nuova

politica regionale sulla non autosufficienza”. Nel documento, in estrema sintesi, SPI FNP e UILP

chiedevano alla Regione Marche di costituire uno specifico Fondo per la non autosufficienza – all’interno

del Fondo regionale per le politiche sociali istituito dalla legge regionale n. 32 del 2014 – alimentato

anche da risorse del bilancio regionale, ulteriori a quelle nazionali ed europee, per finanziare un piano

straordinario di interventi e servizi domiciliari, residenziali e diurni a sostegno degli anziani non

autosufficienti e delle loro famiglie.

Ricordiamo che le Marche sono una delle Regioni italiane con il più alto indice di invecchiamento della

popolazione. Il 23,7% della popolazione complessiva ha più di

64 anni. I cittadini marchigiani non autosufficienti sono

stimabili in una forbice compresa tra 51.000 e 68.500 unità. Di

essi, meno del 30% entrano nel circuito dei servizi pubblici

mentre almeno il 75% della spesa per esigenze di cura a lungo

termine è ancora oggi sostenuta dalle famiglie.

A distanza di più di 3 mesi dalla presentazione del documento,

restano aperte una serie di questioni rispetto alle quali è urgente

riaprire il confronto con la Regione Marche. In questa sede

riteniamo opportuno concentrarci su 3 aspetti principali.

Cure domiciliari e integrazione socio sanitaria

Restano aperte criticità importanti sull’area dell’integrazione

socio sanitaria, nella quale la Regione Marche investe un budget

risibile (circa 170 milioni di €), insufficiente a garantire

l’erogazione dei LEA (livelli essenziali di assistenza) socio sanitari.

I settori più critici sono quelli della salute mentale, delle dipendenze patologiche e delle cure domiciliari.

Su queste ultime, in particolare, nonostante reiterate richieste da parte nostra, e promesse da parte dei

nostri interlocutori, non si hanno dati certi sullo stato dell’assistenza domiciliare erogata. Di certo si sa

solamente che i livelli dell’assistenza socio sanitaria a domicilio nelle Marche sono inferiori alla media

nazionale, e che il numero degli utenti assistiti è in calo (- 3.350 persone circa dal 2008 ad oggi) rispetto

ad un bisogno crescente.

Anche per questo riteniamo necessario uno sforzo ulteriore da parte della Regione, volto ad incrementare

le risorse da destinare alla misura degli assegni di cura per gli anziani non autosufficienti, cui deve

affiancarsi un impegno degli Enti locali per garantire risorse certe ed adeguate per i Servizi di Assistenza

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Trasporto sostenibile,

la Cgil apre il dibattito

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Il welfare fiscale. Alcuni limiti etici

Radicali ristrutturazioni nei confini fra responsabilità private e pubbliche non sembrano oggi all’ordine

del giorno per i servizi sociali del nostro paese. Diversi sono, però, i segnali di potenziamento

progressivo del welfare fiscale, intendendo per quest’ultimo l’uso della leva fiscale ai fini del sostegno

del welfare.

di Elena Granaglia

Da un lato, vi sono precisi atti politici. La legge di stabilità per il 2016 ha esteso la detassazione di alcune

spese di welfare effettuate dai datori di lavoro a favore dei dipendenti e, benché i decreti attuativi non

siano ancora definiti, le agevolazioni hanno un peso importante nella legge delega di riforma del terzo

settore approvata lo scorso 25 maggio dal Parlamento. Un rafforzamento dell’incentivazione al welfare

aziendale è anche all’ordine del giorno della legge di stabilità per il 2017. Al contempo, nel 2016, il

finanziamento pubblico per un servizio centrale quale è il Servizio Sanitario Nazionale è stato tagliato di

5 miliardi rispetto alla versione originaria del Patto per la salute 2014-2016, scendendo da 116 a 111

miliardi (cfr. G. Turati, Soldi alla sanità: una scelta tutta politica, in www.lavoce.info, 20 settembre

2016).

Da un altro lato, vi è un’opinione pubblica sempre più insoddisfatta della qualità dei servizi pubblici, non

importa se a seguito anche del disinvestimento che tali servizi hanno subito. Vi sono, poi, i noti vincoli di

bilancio, i quali non permetterebbero più di finanziare il welfare che abbiamo conosciuto e, tanto meno, i

nuovi rischi sociali. In tale contesto, le agevolazioni fiscali sarebbero benvenute in quanto attiverebbero

risorse private aggiuntive. Peraltro, punto non irrilevante, le agevolazioni fiscali sono tipicamente

percepite (e contabilizzate) come riduzione della pressione fiscale anziché come spesa nonostante ne

siano l’equivalente.

Il welfare fiscale può assumere una molteplicità di configurazioni. In questa sede mi concentro sulle

agevolazioni a sostegno della domanda di beni e servizi di welfare. La tesi che intendo sostenere è che il

welfare fiscale contempli iniquità distributive e rischi di basarsi su una visione fallace del rapporto fra

libertà e uguaglianza.

Incominciamo dalle iniquità distributive. Se introdotte in ambito aziendale e occupazionale, le

agevolazioni beneficiano unicamente un gruppo di lavoratori: chi ha la fortuna di essere occupato in

imprese e/o in settori che offrono tutele addizionali. Gli altri restano scoperti. Incidentalmente, è curioso

che i difensori delle agevolazioni tendano, invece, a diventare i più fieri oppositori della dualizzazione nel

mercato del lavoro quando in gioco è la riduzione dei diritti dei lavoratori. In ogni caso, sia che riguardino

il contesto aziendale/occupazionale sia che sostengano la domanda di singoli acquirenti, le agevolazioni

sono una spesa che è finanziata da tutta la collettività, ma di cui beneficia esclusivamente chi, fra i

contribuenti, ha risorse sufficienti a acquistare tutele aggiuntive rispetto a quelle universalmente

disponibili.

Rimarco la duplicità delle iniquità distributive. Chi non ha risorse per fruire delle agevolazioni è escluso

dai benefici, mentre i contribuenti, nel complesso, finanziano prestazioni a favore di chi è meno

bisognoso. Certo, incoerenze di questo tipo non sono nuove nel nostro paese, da sempre caratterizzato da

un welfare frammentato e categoriale. Ma, ovviamente, l’esistenza di un fenomeno non può bastare per

giustificarlo.

Le iniquità prescindono dal disegno delle agevolazioni. Se assumono la forma di deduzioni fisse dal

reddito, le agevolazioni hanno addirittura un valore crescente rispetto al reddito, il risparmio d’imposta

essendo correlato all’aliquota marginale (in altri termini, maggiore l’aliquota che si sarebbe dovuta pagare

sulle somme deducibili, maggiore il valore della deduzione). È il trionfo della regressività. L’iniquità

resta, però, intatta in presenza di detrazioni. Imposte pagate da tutti i contribuenti permettono solo ad

alcuni di avvantaggiarsi (chi è sufficientemente ricco per pagarsi servizi addizionali ed è capiente sotto il

profilo tributario). Al contempo, agevolazioni decrescenti rispetto al reddito attenuano il favore fiscale per

chi ne gode, a costo, però, di nuovi problemi: interferiscono con il disegno della progressività

dell’imposta personale e, come non si stanca di ripetere la senatrice Guerra, realizzano la selettività

unicamente sulla base del reddito.

Si considerino, poi, altre configurazioni di welfare fiscale, quali le agevolazioni a favore dei soggetti più

abbienti che escano dai servizi pubblici. In tal caso, i più svantaggiati continuerebbero ad accedere ai

servizi pubblici; addirittura, secondo i difensori della prospettiva, potrebbero avvantaggiarsi delle risorse

liberate dall’uscita dei più abbienti. Il punto è che se l’uscita fosse circoscritta ai più ricchi, questi ultimi,

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