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Da Infolampo: Economia – Stranieri

lavoro_nero_afL’economia «non osservata» (ma ben visibile)

Sommerso e attività illegali valgono oltre 200 miliardi di euro, il 12.9 per cento del Pil. Ma i

comportamenti sleali generano benefici soltanto apparenti: in realtà impediscono innovazione e crescita,

oltre a imporre costi elevati alla collettività

di Roberto Fantozzi, www.eticaeconomia.it

Nella “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe si legge: “Il posto migliore per nascondere qualsiasi cosa è in

piena vista». Questo aforisma potrebbe essere il motto di quanti

nel nostro paese, e non sono pochi, celano i propri introiti

lasciandoli in piena vista. Parliamo dell’economia non osservata

(NOE) – utilizzata anche nella stima del Pil – o per usare un

anglismo di shadow economy. In base a una definizione più

rigorosa, l’economia non osservata – costituita prevalentemente

dall’economia sommersa (sotto-dichiarazioni e lavoro irregolare)

e dall’economia illegale (traffico di stupefacenti, servizi di

prostituzione e contrabbando di tabacco) – include tutte quelle

attività che, per vari motivi, sfuggono all’osservazione diretta,

quindi, non sono limitate a specifici settori economici ma possono

interessarli tutti, trasversalmente.

Sulla base delle stime diffuse dall’Istat in Italia, nel 2013

complessivamente il valore dell’economia sommersa e delle

attività illegali è stato pari a circa 207 miliardi di euro, il 12,9 per

cento del Pil; in aumento rispetto al 12,7 del 2012 e al 12,4 del

2011. Di fronte a queste dimensioni è difficile considerare

effettivamente nascoste queste attività.

La spinta a “nascondere” la propria attività può derivare da diversi

fattori, tra i quali naturalmente primeggiano il carattere illegale

dell’attività svolta o il tentativo di sottrarre i propri introiti (anche

se derivanti da attività legali) alla tassazione. Per evitare

fraintendimenti, peraltro frequenti, è utile chiarire sin da subito

che le cifre appena esposte riguardano il valore economico di attività non rilevate direttamente nelle

statistiche ufficiali; esse, quindi, non devono essere confuse con l’ammontare di imposte evase ogni anno;

argomento, quello dell’evasione, di cui il Menabò si è già occupato (vedi Fantozzi e Raitano; Morales

Sloop). Sul legame tra economia sommersa ed evasione fiscale torneremo con maggior dettaglio in un

prossimo numero del Menabò per approfondire i risultati del monitoraggio dell’evasione fiscale,

presentati dal governo nella Nota di aggiornamento al Def.

Oltre a implicazioni di ordine etico e legale, un fenomeno di dimensioni così rilevante si ripercuote

inesorabilmente sull’intero sistema economico: genera condizioni di concorrenza sleale tra gli operatori,

Leggi tutto: http://www.rassegna.it/articoli/leconomia-non-osservata-ma-ben-visibile

Dalla A alla Z –

Vademecum sociosanitario

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www.repubblica.it

La Stranieri Spa vale come la Fiat: il Pil degli immigrati

in Italia pesa 127 miliardi

Se fossero un’azienda, i “nuovi italiani” sarebbero la 25esima impresa più grande al mondo. Dagli oltre

5 milioni di stranieri arrivano 7 miliardi di Irpef e 11 miliardi di contributi previdenziali: pagano di fatto

640mila pensioni. Tabella: il confronto

di VLADIMIRO POLCHI

ROMA – Gli immigrati battono la Fiat, o quasi. Il Pil prodotto dagli stranieri nel nostro Paese infatti è pari

a 127 miliardi di euro, di poco inferiore al fatturato (136 miliardi, per altro sbilanciati verso gli Usa) del

grande gruppo automobilistico. Non solo. Se fossero un’azienda, i “nuovi italiani” sarebbero la 25esima

impresa più grande del mondo. E ancora: il pianeta immigrazione produce 11 miliardi di contributi

previdenziali ogni anno, 7 miliardi di Irpef e pesa per il 2% sulla spesa pubblica italiana. Questa è la

fotografia scattata dalla Fondazione Leone Moressa nel suo Rapporto annuale sull’economia

dell’immigrazione (tabella: il confronto con gli italiani).

Nel nostro Paese al 1 gennaio 2016 vivono oltre 5 milioni di stranieri, ovvero l’8,3% della popolazione

totale. Per lo più giovani: nel 2015, gli italiani in età lavorativa rappresentano il 63,2%, mentre tra gli

stranieri la quota raggiunge il 78,1%. Gli anziani, invece, sono il 23,4% tra gli italiani e solo il 3% tra gli

immigrati. Importante il loro peso economico. Per capirne l’ordine di grandezza, i ricercatori della

Moressa ricorrono a un “gioco”: il Pil prodotto dagli stranieri nel 2015 è di 127 miliardi (8,8% del Pil

nazionale), di poco inferiore al fatturato del gruppo FCA (pari a 136 miliardi).

Da dove proviene questa ricchezza? Oltre la metà del “Pil dell’immigrazione” deriva dal settore dei servizi

(50,7%), ma l’incidenza maggiore si registra nella ristorazione dove gli stranieri producono il 19% della

ricchezza complessiva. Esiste però un problema di produttività: il Pil degli immigrati in Italia è di poco

superiore a quello del comparto tedesco della fabbricazione di veicoli. Tuttavia, mentre in questo caso la

produttività per occupato supera i 135mila euro, nel caso degli stranieri è di poco superiore ai 50mila.

Come si spiega? Il 47% degli immigrati è occupato (contro il 36% della popolazione italiana), ma nella

maggior parte dei casi (66%) si tratta di lavori a bassa qualifica. Questo si traduce in differenze di

stipendio e reddito molto alte. Solo di Irpef la differenza procapite tra italiani e stranieri è di 2 mila euro.

Non solo. Nel 2015 le famiglie con almeno un componente straniero al di sotto della soglia di povertà

erano il 38%, contro il 6% delle famiglie totali.

Il rapporto si sofferma poi sui benefici economici dell’immigrazione. Essendo prevalentemente in età

lavorativa, gli stranieri sono soprattutto contribuenti: nel 2014 i loro contributi previdenziali hanno

raggiunto quota 10,9 miliardi e “si può calcolare che equivalgono a 640mila pensioni italiane”. A questo

va aggiunto il gettito Irpef complessivo versato dagli immigrati (l’8,7% del totale dei contribuenti) pari a

6,8 miliardi. Molti tra loro poi fanno impresa: nel 2015 si contano 656mila imprenditori immigrati

(principalmente da Marocco, Cina e Romania) e 550mila imprese a conduzione straniera (il 9,1% del

totale). Significativo il trend degli ultimi anni (dal 2011 al 2015): mentre le imprese condotte da italiani

sono diminuite del 2,6%, quelle di immigrati hanno registrato un incremento del 21,3%.

Infine i costi. L’Italia è il Paese europeo che spende di più per le pensioni: quasi il 17% del Pil (270

miliardi). Ma oggi gli extracomunitari pensionati sono circa 71mila e i comunitari dell’Europa dell’Est

circa 25mila. Quindi i pensionati stranieri sono solo 100mila,

mentre i pensionati totali oltre 16 milioni. I settori in cui la spesa per l’immigrazione è più rilevante sono

quelli del welfare e della sicurezza. I ricercatori della Moressa calcolano comunque che “il costo degli

stranieri sia inferiore al 2% della spesa pubblica”.

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