Da Infolampo: Mobbing – Generazioni
Se il mobbing porta al suicidio
Rinviati a giudizio i vertici di France Télécom con l’accusa di avere gestito “con straordinaria brutalità”
una politica di ridimensionamento del personale che, tra il 2007 e il 2009, aveva portato sessanta
dipendenti a decidere di togliersi la vita
di Giorgio Frasca Polara
Dopo sette anni di indagini, la Procura di Parigi ha chiesto il rinvio a giudizio dei vertici di France
Télécom, più tardi diventata Orange, accusandoli di avere
gestito “con straordinaria brutalità” (la definizione è dei
sindacati, la cui denuncia ha portato all’intervento della
magistratura) una politica di ridimensionamento del personale
che, tra il 2007 e il 2009, aveva portato al suicidio di sessanta
dipendenti. Il piano aziendale era studiato in modo tale da
evitare licenziamenti in blocco e da creare piuttosto un clima di
“sistematica destabilizzazione” dei dipendenti, in modo da farli
sentire a disagio sul posto di lavoro e di spingerli alle
dimissioni volontarie.
I manager che riuscivano a mandar via impiegati erano
ricompensati a fine anno con lauti “premi di produzione”.
Attenzione ad un particolare: France Télécom era controllata
dallo Stato, e dunque un’azienda pubblica, il che aggrava
notevolmente la posizione degli imputati, e chiama
indirettamente in causa i poteri di controllo evidentemente non
esercitati a dovere quando la vicenda dei suicidi ha assunto
dimensioni clamorose nell’opinione pubblica. Come si faceva
a provocare l’esodo? L’atto di accusa della Procura (su cui
dovrà decidere il giudice istruttore) cita molti esempi: madri di
famiglia trasferite in sedi a due ore da casa, impiegati rimasti
senza la scrivania a causa di lavori negli uffici,
demansionamento di quadri.
La cosiddetta ristrutturazione veniva condotta senza indugi malgrado i primi suicidi, e infatti l’ondata è
stata tra il 2008 e il 2009: solo in quel biennio si sono tolti la vita trentacinque lavoratori, esasperati per i
mezzi di pressione esercitati nei loro confronti. “Era una macchina di distruzione di massa”, ha
commentato Jean Paul Teissonière, avvocato dei sindacati solo parzialmente soddisfatti. Per la Cfe-Cgc
sarebbe più appropriato “un capo d’accusa multiplo per omicidio involontario, messa in pericolo della
vita altrui e mobbing”. Per la maggioritaria Cgt il processo deve essere “l’occasione per riconoscere le
vittime del mobbing generalizzato nel gruppo, ma anche per condannare i metodi di management
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Generazioni solidali
Generazioni solidali, a cura di Marco Accorinti ed Enrico Pugliese, (Liberetà, 2015) è un libro che parte
dalla condizione degli anziani per raccontare le criticità presenti e future con cui confrontarsi
di Giustina Caputo Orientale
Chi si avvicinasse al volume curato da Marco Accorinti ed Enrico Pugliese, Generazioni solidali. Giovani
e anziani nell’Italia della crisi (Liberetà, 2015), pensando di trovarsi solo di fronte a un libro dedicato agli
anziani resterebbe sorpreso. Il libro infatti parte sì dai risultati di una ricerca sulla condizione degli
anziani, ma fornisce in realtà un quadro più ampio rispetto a diverse dimensioni, da quella demografica a
quella lavorativa, da quella sociale a quella culturale. Un bel viaggio nel paese che oggi siamo e un’ottima
occasione per ragionare di genere oltre che di generazioni.
Il prisma attraverso cui sono indagati i diversi aspetti della società è l’invecchiamento della popolazione e
le relazioni fra generazioni.
Il Novecento è stato il secolo della solidarietà fra generazioni ma anche della grande trasformazione
demografica portata dall’invecchiamento della popolazione. Nel nuovo millennio i rapporti di solidarietà
fra generazioni vengono minati dall’erosione dei sistemi di protezione sociale che aumentano le povertà e
modificano anche le relazioni generazionali. Ne derivano assetti inediti della società che provengono da
un lato da una nuova considerazione sociale della vecchiaia, dall’altro dalle nuove relazioni che si
determinano fra generazioni. Pur non essendo esplicito intento degli autori, è possibile ricavare dal
volume una lettura di genere delle trasformazioni in atto.
In primo luogo: hanno pari opportunità le donne e gli uomini che invecchiano in questo paese? La
risposta che se ne ricava è: non ancora. E questo perché le condizioni in vecchiaia dipendono in larga
parte da quelle che sono state le condizioni economiche, lavorative, territoriali e sociali della vita
precedente. Sesso, età, titolo di studio, area territoriale di residenza e legami sociali cambiano in misura
sostanziale quello che, a differenza di un tempo, è oggi il variegato e accresciuto universo della
popolazione anziana nel paese. Le diversità fra percorsi maschili e femminili, che caratterizzano tutta la
vita, si riverberano con forza in vecchiaia. Certo la condizione anziana è complessivamente molto
migliorata nel corso del tempo sia perché è cambiata la portata del fenomeno, la cui incidenza non è mai
stata così elevata nella storia, sia perché ne è cambiata socialmente la considerazione. Un tempo la
vecchiaia era una condizione da tenere nascosta spesso di pessima qualità; Simone de Beauvoir negli anni
Sessanta sentiva di definirla “una sorta di segreto vergognoso, di cui non sta bene parlare”. Oggi una una
società in cui sempre più anziani hanno una vita attiva e in salute è, se non generalizzato, almeno
ipotizzabile.
Ma chi è anziano? È anziano chi la società definisce tale. E la definizione dipende dai cambiamenti che
intervengono nelle condizioni e nell’entità della popolazione che si presenta alla soglia dell’anzianità, che
cambia nel tempo e che riflette il grado di sviluppo socio-economico di un paese. Tanto per intenderci, è
tutta recente la distinzione fra terza e quarta età che dipende dall’allungamento della vita media e dalla
migliore condizione in cui questa vita si snoda. Oggi, per convenzione, è anziana la popolazione che ha
superato il sessantacinquesimo anno di vita e vecchia quella dagli 80 anni in su. L’Italia è oggi il secondo
paese dopo il Giappone per percentuale di ultrasessantenni, al primo posto per quella di ultraottantenni, al
secondo posto per velocità di invecchiamento. Vuol dire che è aumentato il numero di anziani, ma anche
l’incidenza dell’invecchiamento sulla popolazione.
L’invecchiamento è un processo che subisce l’influenza poi di altre variabili: dallo stato di salute alla
quantità e qualità delle relazioni sociali che si instaurano. E anche su queste, determinante è
l’appartenenza di genere. In tal modo l’invecchiamento diventa un concetto dinamico, connesso allo stato
di agio o di disagio in cui si vive l’accadere di eventi come il pensionamento, la vedovanza, il
peggioramento delle condizioni di salute, l’infermità.
In Italia oggi ci sono più anziane che anziani e più vedove che vedovi, ma si assiste ad un progressivo
riequilibrio grazie a una maggiore sopravvivenza dei maschi rispetto al passato: questo potrebbe
proseguire anche in futuro con garanzia di una più lunga vita di coppia e migliori possibilità di
indipendenza economica e di auto-aiuto delle coppie. L’aumento del carico demografico degli anziani si
traduce però in un aumento del carico di assistenza ancora in larga misura per le donne. Il rapporto di cura
femminile degli anziani indica che per ogni donna fra i 45 e i 64 anni ci sono circa 0,4 ultraottantenni; un
rapporto che negli ultimi vent’anni si è mantenuto abbastanza basso e soddisfacente sia per la scarsità dei
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