Da Infolampo: Acqua pubblica e Terzo Settore
Acqua pubblica, il referendum dimenticato
L’allarme lanciato dalla Cgil. Il decreto Madia, se il testo sarà confermato, smantellerà di fatto l’esito
della consultazione popolare del 2011. Se ne parlerà giovedì 9 giugno in un dibattito promosso dalla
confederazione presso la sede di corso d’Italia
di Maurizio Minnucci
“Il decreto Madia è stato costruito come se il referendum sull’acqua non ci fosse mai stato. Non bastasse
questo, contravviene anche al principio scritto nella legge delega
da cui è scaturito. Quel testo non va bene, contiene diversi
profili di incostituzionalità”. A lanciare l’allarme sul destino
dell’acqua pubblica – messo a repentaglio dal decreto delegato
sui servizi pubblici locali – è il responsabile dei settori pubblici
per la Cgil Michele Gentile. Il provvedimento è ancora in
itinere, per ora siamo alla prima stesura del testo. Ma ha già
ricevuto due parziali bocciature: la prima dalla Conferenza
unificata Stato-Regioni-Comuni; la seconda dal Consiglio di
Stato, secondo cui il governo deve valutare la coerenza con gli
esiti referendari. Che nel linguaggio paludato della corte
significa “pensateci bene”.
Se ne parlerà giovedì prossimo, 9 giugno, in un dibattito
promosso dalla Cgil a partire dalle 15.30 presso la sede
nazionale di Corso d’Italia a Roma. Dopo l’introduzione del
segretario confederale Fabrizio Solari ne discuteranno Aldo
Reschigna, coordinatore vicario della commissione Affari
istituzionali nella Conferenza delle Regioni; Maurizio Montalto,
presidente dell’azienda Acqua Bene Comune – Abc Napoli;
Paolo Carsetti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica; il coordinatore dell’area politiche
economiche e sviluppo della Cgil Riccardo Sanna. Concluderà i lavori il segretario generale della Cgil
Susanna Camusso.
Un’iniziativa pensata per ricordare la battaglia referendaria del 2011 condivisa dalla Cgil secondo cui per
l’acqua va fatto un discorso a parte. E che fa venire in mente un parallelismo con i quesiti a sostegno della
Carta dei diritti: come allora si fece ricorso alla volontà popolare per contrastare il decreto Ronchi e la sua
linea liberista, così oggi, in tema di lavoro, il sindacato guidato da Susanna Camusso vuole riaccreditare
lo strumento del referendum per arginare una politica che ritiene sbagliata nella stagione in cui si assiste
al ritorno del liberismo e dell’idea di privatizzazione dei beni e servizi pubblici.
“Secondo la legge delega – precisa Gentile – per quanto riguarda l’acqua bisogna trovare una norma
coerente con la disciplina europea che abbia come riferimento l’esito del referendum del 2011, eppure il
decreto delegato non ne parla. Non solo non si tiene conto della consultazione popolare che vieta
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Terzo settore, non vendiamo l’anima
La riforma apre prospettive importanti per la disciplina su volontariato, cooperazione sociale, no-profit,
fondazioni, imprese sociali, servizio civile. Molte anche le riserve, di merito e di metodo. Prima di tutto
occorre evitare la deriva commerciale
di Giorgio Frasca Polara
Il definitivo via libera della Camera, a larghissima maggioranza, alla legge-delega che affida al governo
(ma i successivi decreti attuativi dovranno passare al vaglio del Parlamento per verificarne l’aderenza ai
principi del provvedimento) la riforma del Terzo settore apre prospettive significative, ma ancora non
pienamente definite, per l’atteso, profondo, rinnovamento della disciplina su volontariato, cooperazione
sociale, associazionismo no-profit, fondazioni, imprese sociali, servizio civile. C’è da dire subito che, se
ci sono soddisfazioni, in qualche caso eccessive, ci sono anche molte riserve, di merito e di metodo,
anzitutto di Cgil, Cisl e Uil (che avevano già contribuito a modificare il testo originariamente steso dal
governo), dell’Arci, del Convol, di altri organismi. Ne riferiremo subito, qui stesso…
Le dimensioni. Anzitutto vanno ricordate le dimensioni del Terzo settore. Si tratta di una costellazione
che nell’ultimo decennio ha registrato una crescita superiore a quella di qualsiasi altro settore produttivo
(+28% degli organismi, +39,4 degli addetti, cinque milioni di volontari, un milione di lavoratori…) che
rappresenta una delle risorse più variegate e importanti del tessuto economico-sociale anche sotto il
profilo della tutela sociale. Il 38% ha natura mutualistica; la componente nell’assistenza sociale coinvolge
225mila addetti (il 33,1%); il settore cultura-sport-ricreazione assorbe oltre 195mila realtà, seguito
all’assistenza sociale (25mila organismi). Il Terzo settore è cresciuto in particolare nelle aree forti del
centro-nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio.
Linee-riforma. E vediamo ora gli elementi fondamentali della riforma, oggetto anche di critiche di
prospettiva: la vera posta in gioco ora diventano i decreti attuativi. In primo luogo il Terzo settore viene
finalmente definito “in positivo”: non più mera (seppure importante) attività no-profit ma “il complesso
degli enti privati costituiti per il perseguimento senza scopo di lucro di finalità civili, solidaristiche e di
utilità sociale, e che, in attuazione del principio di solidarietà, promuovono e realizzano attività di
interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e di
scambio di beni e servizi”.
Attenzione alle deleghe. Un’attenzione particolare (che si trasforma già in una preoccupazione), la legge-
delega dedica agli ancora generici criteri dalle deleghe cui dovrà provvedere il governo: garanzia del più
ampio diritto di associazione, promozione dell’iniziativa privata svolta senza fini di lucro, riconoscimento
dell’autonomia statutaria degli enti (comprese onlus, ong, organizzazioni di volontariato, di gestione dei
servizi socio-sanitari o per la protezione degli svantaggiati, associazioni di promozione sociale, imprese
sociali). Previsti anche una serie di principi di revisione del Codice civile in ordine alla disciplina sulle
associazioni e sulle fondazioni. Questo significa che bisognerà fare la massima vigilanza sulla
formulazione dei decreti delegato perché nella loro redazione non vi siano equivoci, distorsioni dello
spirito delle norme-guida, assenza di riferimenti ad esse o estensione eccessiva. Ecco la necessità e
l’urgenza di una contrattazione preventiva sulla stesura delle norme d’attuazione.
L’allarme dei sindacati. E infatti questo dei decreti attuativi è uno dei punti-chiave su cui c’è vero e
proprio allarme dei tre sindacati, dell’Arci, di altri organismi associativi. Si sollecita sin da ora un
confronto penetrante tra governo e parti sociali nella loro stesura: in buona sostanza non si accettano
scatole chiuse o prefabbricate in primo luogo per un principio normativo non eludibile: le Camere hanno
sì il diritto-dovere di esprimere sui decreti tutte le riserve e tutte le correzioni che riterranno di formulare,
ma il loro parere, se è “obbligatorio”, non è però anche “vincolante”: cioè il governo può ignorare ogni
rilievo. E quindi è indispensabile che prima della stesura materiale dei decreti ci sia il confronto reale con
le parti.
Il Codice. Ci sarà anche, e finalmente, un nuovo Codice del Terzo settore che raccoglierà la disciplina in
materia dopo l’entrata in vigore di tutti i decreti delegati. Dovrà essere creato un registro unico del settore
la cui gestione sarà affidata al ministero del Lavoro: una porta d’accesso – è stata definita – ai benefici
fiscali, ma con un severo controllo sulla gestione di finanziamenti pubblici ogni genere e sulle
convenzioni con enti pubblici. A proposito: per evitare forme di dumping contrattuale si stabilisce già
nella legge che le imprese del Terzo settore dovranno garantire negli appalti pubblici condizioni
economiche non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro adottati dai sindacati
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