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Ancora sui misteri del Ttip

TTIP-leaksTorniamo ancora una volta sul Ttip, (Transatlantic Trade and Investment Partnership) per darvi conto e lo faremo anche nel prossimo futuro seguendo gli sviluppi della trattativa tra Stati Uniti ed Europa sulle conseguenze del trattato per i consumatori e per le imprese. Il primo elemento di cui vogliamo darvi conto è le modalità di consultazione del trattato, chiuso all’interno di una apposita stanza del Ministero dello Sviluppo Economico a Roma. E’ consultable dai parlamentari italiani solo per un ora, la bellezza di otto faldoni da circa 700 pagine ciascuno, scritti in inglese. Perché tanta segretezza? Per poter fare la consultazione occorre iscriversi in una lista speciale, essere accompagnati presso la stanza del Ministero e qui fare “la consultazione” sotto l’occhio vigile di controllori, almeno quattro funzionari ministeriali. Sono vietate fotocopie, telefonino, tablet, non si possono fare trascrizioni di pagine e gli appunti devono essere presi a penna su fogli bianchi. E’ arcinoto, dopo le rivelazioni di Greenpeace, di alcune parti del trattato del venir meno di una serie non indifferente di tutele per i consumatori, di riduzione massiccia degli standard sociali ed ambientali delle produzioni nazionali. Con in più un dato molto preoccupante, laddove viene sancita una concreta subalternità degli Stati alle esigenze produttive delle imprese, con il rischio che queste ultime possano portare gli Stati davanti ad una corte arbitrale qualora gli stati stessi volessero introdurre o approvassero norme a tutela dei consumatori. Vi pare utile e logico? e per cosa mai diamine dovrebbe avvenire tutto questo? Per l’offerta di riduzione dei dazi doganali americani sulle merci provenienti dall’Europa. Altro elemento quantomeno imbarazzante è dato dall’impegno dei negoziatori di mantenere il “segreto” sulle materie oggetto di negoziazione. Non una semplice regola di riservatezza, ma il segreto più assoluto e quindi le cose delle quali non è dato conoscere l’entità, la forza, le ricadute sono preoccupanti. Alcuni esempi? Devono essere tolte le date di imbottigliamento e scadenza dei prodotti alcolici, sulle auto mentre i negoziatori europei vorrebbero la certificazione dell’ultima versione del crashworthiness, gli americani si accontentano della versione meno costosa e meno protettiva degli occupanti in caso di incidente. Dello stesso tenore le modifiche chieste sulle etichette dei cosmetici, spiegazioni al minimo, nessun  accenno alle sostanze usate per la fabbricazione, né se ci sono tracce di sostanze pericolose o di eventuali testi effettuati su animali. Ancora più ilare la questione dei coloranti, gli europei vorrebbero un rispetto stretto delle norme sanitarie, mentre gli americani si rifugiano nella richiesta di una relazione ad hoc. A ben guardare neppure gli americani possono stare allegri, non sono neppure loro a guadagnarci, non certo i consumatori d’oltre oceano, bensì unicamente le imprese ed in particolare quelle multinazionali. Non è certo neppure l’impatto sul Pil dei due Paesi, ma certo è lo stravolgimento di regole e divieti fino ad oggi utili alla tutela del consumatore e alle produzioni tipiche del continente europeo, con gravi ricadute sui fatturati delle piccole e medie aziende, la nostra attuale ossatura economica.

ARES