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ALTRO CHE EURO : IO VOGLIO LA MONETA CITTADINA

1234602_600872256652698_1653547930_nII denaro appartiene ai cittadini, che dovrebbero riceverlo senza lavorare. Le banche truffano e fanno usura. Bankitalia viola la Costituzione. Chiunque può coniare a suo piacere. Sono le teorie “estreme” dell’economista Giacinto Auriti, che però ottengono consensi e potrebbero diventare legge. Gli daranno il Nobel? 

Di Gianni Franchini  

Quella di Giacinto Auriti, docente di Diritto monetario all’università di Teramo, è una battaglia che ha il fascino delle battaglie considerate, forse a torto, impossibili. E come sempre capita in questi casi, le enunciazioni teoriche che le illustrano provocano in chi le ascolta uno spettro di emozioni che va dalla curiosità all’incredulità, dalla derisione all’adesione.

Se si chiede al professor Auriti cosa pensa della nascita e soprattutto del futuro dell’Euro risponde:

“Dipende se la Banca centrale europea stamperà carta moneta per accreditare o per prestare. Nel secondo caso sarà una catastrofe, soprattutto per le future generazioni. L’ Europa della moneta unica si dissolverà come le vecchie monarchie europee”.    

Un parere con cui Auriti mutua una sua vecchia teoria monetaria, già applicata alla Lira e che per l’Euro porta alle stesse conclusioni, anche se moltiplicate per il numero degli Stati coinvolti nella moneta unica. Ovvero: il nostro sistema monetario, così come quelli degli altri Paesi, vive su una grande finzione, quella del valore collegato alla moneta.

“Le banche centrali emettono carta moneta con il metodo del prestito: ogni emissione di denaro è in realtà un nuovo debito a carico dei cittadini senza però che si sia creato, come sempre succede, un rapporto consensuale tra creditore e debitore. Il discorso dovrebbe essere diverso. Il denaro è di proprietà dei cittadini e quindi dovrebbe essere accreditato ai cittadini, non prestato. E come se lei passasse vicino ad una miniera e trovasse una pepita d’oro. Che fa? La prende, è ovvio, e se la mette in tasca. La pepita quindi è di sua proprietà, può farne quello che vuole. Secondo la logica alla base dei sistemi monetari attuali, invece, quella pepita non è la sua, è della miniera. Lei è quindi debitore di una pepita alla miniera, che gliel’ha solo prestata”. 

E cosa dovrebbe fare la Banca d’Italia per accreditare il denaro ai cittadini ?

“Semplicemente darglielo, erogarglielo. Sono due i principi che andrebbero affermati: uno,ogni emissione di denaro da parte della Banca d’Italia è di proprietà dei cittadini; due, il denaro deve essere effettivamente erogato i loro. Come ? Attraverso ad esempio un codice dei redditi sociali, il contrario del codice fiscale. “Attraverso il codice fiscale il cittadino paga le tasse, con il codice dei redditi sociali il cittadino incassa i soldi. E la gente che crea il valore delle banconote, per il solo fatto di essere viva e scambiarsi moneta”. 

I soldi senza lavorare ? Una pacchia senza fine, addio lavoro e problemi…

“Io propongo un reddito basato sulla cittadinanza che ovviamente andrebbe sommato al reddito prodotto dal lavoro, in modo che si lavori di meno e che l’uomo si goda di più la vita”. 

Andiamo professore, ma lei ci crede veramente a questa rivoluzione ?

Guardi che io non improvviso affatto. Questa teoria è il frutto di trentaquattro anni di studio e ho ricevuto complimenti e apprezzamenti da studiosi di economia da tutto il mondo e anche una proposta di candidatura al premio Nobel”. 

Ma come si fa ad immaginare la Banca d’Italia che regala i soldi ai cittadini ?

“Il denaro e il suo valore sono solo una convenzione. Non è vero che la gente accetta i soldi perché hanno valore. E vero esattamente il contrario: hanno valore perché la gente li accetta, ma non sono ne un bene raro ne prezioso”. 

E le riserve auree?

“Una barzelletta. Sono state abolite dall’accordo di Bretton Wood. Quella operata dalla Banca d’Italia è una truffa: sui biglietti c’è scritto “pagabili a vista al portatore”, in banca cioè dovrebbero dare l’equivalente in oro, ma non è vero, non danno niente, perché le riserve sono state abolite. Non c’è nessun oro, c’è solo carta”.

Su quest’incongruenza, a dire il vero, un certo consenso c’è. Ad esempio, Beppe Grillo ne ha fatto i uno sketch del suo ultimo spettacolo: “La Banca d’Italia ci presta quella che non è che carta a un interesse del 200 per cento e se questa non è usura… Noi viviamo nell’usurocrazia con i politici che fanno i camerieri dei banchieri”. 

Andiamo, professore, questa storia della convenzione sembra troppo facile, a questo punto chiunque potrebbe battere moneta…

“Infatti ci si deve avviare su questa strada. In America sono già sessanta le città che hanno una propria moneta e anche in Italia si è tentato qualcosa ma si ha sempre una sorta di timore reverenziale della Banca d’Italia”.

In effetti la tesi del conio locale sta trovando sempre maggiori e più autorevoli appoggi ed è stata di recente oggetto di alcuni studi in Gran Bretagna. Inoltre – Auriti forse non lo dice per opportunità – si vocifera che lo stesso sindaco di Chieti, Nicola Cocullo, starebbe valutando con interesse l’ipotesi di una zecca cittadina. E non fa cenno neanche ( “roba vecchia…” taglia corto) ad alcuni incidenti sospetti dei quali è stato vittima. E pienamente disponibile, invece, a parlare di un’iniziativa clamorosa.

“Ho denunciato il Governatore…”. 

Come, come ? Ci racconti quando, come e perché.

“Una citazione civile. Ho chiesto al tribunale di dichiarare l’illegittimità e l’illegalità delle prerogative riservate alla Banca d’Italia di battere moneta esclusivamente e oltretutto di darla in prestito. A mio parere l’Istituto viola la legge e la Costituzione e nessuno dice niente perché si ha la convinzione generale che la possa violare. Fa piacere però che non sono più il solo a sostenere questa teoria, gli incoraggiamenti si moltiplicano e anche il Parlamento si è finalmente svegliato. Già dalla passata legislatura c’è alla Camera un progetto di legge che recepisce la mia teoria e che già prevede, tra l’altro, l’istituzione del codice dei redditi sociali”. 

Fonte: pubblicato dal settimanale – lo STATO – del 23 giugno 1998 – rubrica economia – pag. 80