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Regioni, doppia soluzione per porre fine agli sprechi

000ecisnettoSe, come penso, domani a urne chiuse dovremo conteggiare l’astensione dal voto regionale sulla soglia ormai consolidata, come media nazionale, del 40%, o forse anche di più, la causa della reiterata disaffezione non sarà da ricercare tanto nella marea montante dell’antipolitica – sentimento per molti versi giustificato, ma pericoloso e inconcludente – quanto soprattutto, nella più che ragionevole sfiducia degli italiani verso le regioni come strumento di decentramento amministrativo e di autonomia. E’ venuto il momento di dirlo con chiarezza e coraggio: 45 anni dopo la loro nascita bisogna prendere atto che le regioni, così come sono, non funzionano. Non so se si debba dire che quella riforma sia stata un fallimento, ma so con certezza che il sistema regionale, ammesso che in passato abbia mai funzionato, ora (e non da oggi) non funziona più. E so con altrettanta certezza che è giunto il momento di metterci mano, tanto più in questa fase di rottamazione del passato e di semplificazione dell’esistente, oltre che di necessità di “vera spending review”. Come intervenire?

Qui le strade sono due, e pur che se imbocchi una dico fin d’ora che vanno benone entrambe. La prima è riformista: ridisegnare la mappa, riducendo a 6-8 il numero delle regioni, dando loro una dimensione un minimo più somigliante a quella dei lander tedeschi. In proposito ci sono diversi studi, a cominciare da quello storico e poi aggiornato della Fondazione Agnelli, che possono aiutare a definire le macro-regioni. La seconda è rivoluzionaria: abolire le regioni. Iniziativa magari mitigata da un serio lavoro di ridefinizione amministrativa, come per esempio ha fatto la Società Geografica Italiana, che ha ridisegnato la mappa d’Italia cancellando i confini regionali e immaginando la creazione di 35 aree provinciali, cui dovrebbero essere attribuiti compiti leggeri e mai suppletivi dello Stato centrale. L’idea di fondo è quella di prendere atto che nel momento in cui il processo di globalizzazione abbatte le barriere e alza l’asticella della dimensione dei paesi che competono tra loro, il federalismo verso il basso non ha più senso – ammesso e non concesso che ne abbia mai avuto uno – mentre ne ha, e molto, verso l’alto (nel nostro caso il completamento del processo d’integrazione europeo). Ma abolire le Regioni, o ridimensionarle, consentirebbe anche un risparmio significativo, non tanto perché verrebbero cancellati un tot di amministratori con i loro relativi costi, quanto perché gli oltre 100 miliardi di spesa sanitaria e i 17 miliardi di contributi a fondo perduto che oggi sono gestiti da 20 diversi centri di spesa regionali, una volta ricondotti sotto un unico centro nazionale, potrebbero essere meglio controllati e ridotti. inoltre si metterebbe fine alla concorrenza dei poteri tra Stato e Regioni, che ha provocato un contenzioso così vasto che si fa fatica a calcolarne l’ammontare. L’annunciata revisione del Titolo Quinto della Costituzione, necessaria per porre rimedio alla confusione dei poteri introdotta nel 2001 da una sciagurata riforma pseudo-federalista voluta dal centro-sinistra di allora nel tentativo, peraltro fallito, di agganciare la Lega sottraendola a Berlusconi, potrebbe essere l’occasione giusta per un ripensamento complessivo. Chi oggi si dovesse astenere non va trattato da qualunquista, ma da cittadino desideroso di mandare questo messaggio. (twitter@ecisnetto)

Enrico Cisnetto