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Il Paese a crescita zero!

03crisiL’Italia non riparte. Non bastano i richiami all’ottimismo e all’autostima del premier per invertire la rotta. Altri paesi, nelle nostre stesse condizioni hanno ripreso il cammino virtuoso della crescita con PIL intorno all’1,5% su base annua. Basta guardare la Spagna, ha subito le conseguenze di una crisi peggiore della nostra, con un numero maggiore di disoccupati, una débâcle nel settore immobiliare e un numero impressionante di aziende chiuse. Eppure dopo una cura forte, fatta  di tagli alla spesa pubblica, riforma della disciplina sul  lavoro,  di una semplificazione amministrativa molto sensibile e di un clima di fiducia indotto da un governo attivo sulle grandi e necessarie riforme, il Paese è tornato a crescere. In particolare è tornato ad eccellere in settori nei quali anche noi italiani siamo presenti da sempre con un peso sensibile, quali l’agroalimentare, la moda, l’informatica e l’agricoltura, con la differenza che in Spagna le aziende hanno una maggiore agilità favorita dalla semplificazione burocratica e dall’accesso al credito, mentre nel nostro Paese le riforme sono fatte di fumo e la stagnazione continua con effetti devastanti. Non a caso siamo in piena deflazione nelle maggiori città italiane, il clima di sfiducia verso l’esecutivo nato con grandi speranze va scemando a causa di una politica degli annunci ai quali non seguono i fatti o meglio si fanno prioritariamente cose poco utili alla crescita, ma molto utili alla politica e ai partiti che si vanno via via riappropriando di spazi sempre più ampi, compromettendo l’efficienza e la modernizzazione di questo Paese. Renzi se la prende con i gufi e con i detrattori, ma dovrebbe fare un autoesame di coscienza e  capire che dopo sei mesi nel carnet del governo c’è a malapena la riforma del Senato in prima lettura, consegnato ai consiglieri regionali e ai sindaci, non proprio il meglio di questo Paese. Un senato diventato di fatto un contenitore dove si faranno sentire le potenti lobby regionali e autonomistiche con conseguenze gravi sulla spesa pubblica giunta oramai a livelli insostenibili, come d’altro canto il debito pubblico. Ora se il premier non aggredisce la spesa, applica davvero la spending review, riforma la disciplina sul lavoro, azzera sul serio gli enti inutili, semplifica la macchina amministrativa e sburocratizza questo Paese le speranze di crescita sono una pia illusione come si è visto chiaramente in questi mesi, anzi il Paese arretra maggiormente, con più disoccupati e purtroppo un numero sempre maggiore di disperati che la fanno finita.

ARES